Perdersi nella pace del parco di Laconi o di Belvì. Farsi rapire dai silenzi di Ollolai o di Nulvi, magari alla ricerca di una vecchia casa da ristrutturare, investendo un euro per acquistarla.

È il valore aggiunto dei nostri paesi, quelli che conosciamo poco perché preferiamo prendere un aereo.

Quelli che lottano per mantenere la scuola, l'ufficio postale, lo sportello bancario, la caserma dei carabinieri, persino il parroco. Quelli presi a schiaffi dalla politica, a Bruxelles, a Roma e a Cagliari.

Non solo negli ultimi cinque anni lo Stato ha tagliato un miliardo e mezzo ai Comuni sardi, ma li costringe anche a tenere nelle tesorerie un sacco di soldi per contribuire al pareggio contabile del bilancio del Paese.

Firmando il Patto per la Sardegna, poco più di un anno fa a Sassari, l'allora premier Matteo Renzi parlò di "sindaci pazzi", manifestando "stima e gratitudine". Medaglie di cartone per chi ha strade da sistemare, rifiuti da raccogliere, famiglie da assistere.

Però forse è anche un po' colpa nostra: non riusciamo mai ad arrivare uniti alla meta. Ricordate le lotte intestine per la presidenza sarda dell'Anci, l'Associazione dei Comuni? Sì, certo, è il bello della democrazia. Ma anche il brutto. E allora stabiliamo il giorno e l'ora per far suonare, tutte insieme, le 377 campane della Sardegna. Svegliamo il sonno della ragione. Il mio. Il tuo. Il nostro.
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