Da Ginevra, dove sono passato per visitare mia figlia, parto per Hong Kong. Un fastidioso vento da nordest che chiamano Bise accompagna la salita dell'aereo sino a quando superiamo il Monte Bianco. L'alba, bellissima, stempera i pensieri della notte, la malinconia della partenza e lo strappo che si consuma quando si lasciano le persone care.

La nostra casa e quelle dei nostri figli sparsi per il mondo - ho notato - sono piene di fotografie che dicono quanto la famiglia sia importante e centrale, nonostante i continenti ci separino. E ogni volta, salutandoci, soccombiamo all'ingiustizia, al dolore: la ferita peggiora col tempo.

Siamo sardi e continuiamo a emigrare, anche nel 2018, senza vedere una luce di speranza in una Sardegna che si sfalda. I dati sono ufficiali e impietosi, le notizie che si rincorrono purtroppo convergenti verso una situazione di caduta libera.

Ho postato un pensiero in Facebook, due giorni fa, riguardo alla perdita, ormai definitiva, della nostra compagnia di bandiera. Ho ricordato la visione strategica dell'Aga Khan, un galantuomo innamorato della nostra terra, e, come tutti gli artisti disinteressati (la Costa Smeralda è figlia di un animo artistico e appassionato), combattuto, tradito e dileggiato da una classe politica di bassa cultura e limitati orizzonti.

Mi sono abbandonato alla nostalgia della gloriosa Alisarda e dei suoi primi Fokker f27, del comandante Altomare e degli equipaggi che ci facevano passare il Tirreno in un'ora invece della nottata spesa sulle navi-bestiame della Tirrenia, di una stagione di energia e fiducia.

Poi ecco la Meridiana e adesso la resa ad Air Italy e lo spostamento a Malpensa di tutte le attività.

Non siamo riusciti a salvare neanche le ultime cinquanta buste paga, regalate alla Lombardia, neanche quelle. Nel generale e pilotato plauso per l'accordo con la Qatar Airways, qualche mese fa, nessuna voce critica si era levata, nessuno aveva voluto esplicitare i termini.

Ancora una volta, nella folle corsa alla centralizzazione, alla medioevalizzazione della nostra isola, alla sottomissione alle ideologie (all'inizio erano almeno tali, oggi sono solo sporchi denari), allo svilimento di tutto a fronte dell'interesse di pochi, a una "diminutio" che ha cancellato storia, opportunità, identità, ricchezza, artigianato e bellezza, quello più incredibile è stato e rimane il silenzio massiccio e funerario dei sardi che contano.

Ci sottraggono la nostra banca, la società aerea di bandiera, persino la terra e le nostre vigne; ci costringono a vivere - chi rimane - in un "Territorio Arretrato" (categorizzazione ultima dell'UE) il cui 90% del PIL è prodotto da una società petrolifera e da una di armi, ovviamente non sarde; si soffoca l'economia e si subisce lo spopolamento, eppure non si odono voci d'intellettuali, di personaggi autorevoli, di economisti o maître à penser che si ergano contro un disfacimento che ci riporta indietro di cinquant'anni. Tutto tace.

Solo la popolazione protesta, con i pochi mezzi che le sono consentiti. Le centinaia di apprezzamenti, commenti e condivisioni che il post sull'Alisarda, per esempio, ha scatenato, dimostrano che c'è ancora vita sul pianeta-Sardegna, che tante persone sono pronte a collaborare con idee nuove, volontà e orgoglio. Un mondo sotterraneo ma vivo, dove ribolle la voglia di fare, non di ascoltare sermoni e alibi dai soliti noti.

Mia figlia mi ha detto che c'è una frazione di Ginevra interamente costruita dai sardi: "È molto bella, quando torni dobbiamo vederla, ci si arriva con il tram". E io ho pensato che tra i tanti crimini, quello contro la bellezza urla di più: noi sardi abbiamo l'idea innata, l'afflato e il gusto della bellezza. Basta osservare i nostri costumi, i dolci, i gioielli, il nostro artigianato.

Ma la mediocrità devastante, la formazione da terzo mondo, il grigio della mente e la schiavitù del denaro ci stanno facendo perdere anche questa luce.

Altri cinque anni di spopolamento e vedremo comparire Lamarmora 2 che a cavallo, scientemente come compiuto dal primo, deprederà i paesi degli ultimi tesori rimasti per portarli di là dal mare, al Museo dei Sardi Andati.

Ciriaco Offeddu

(Manager e scrittore)
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