Un valore inestimabile e intangibile? Macché: il paesaggio sardo ha un prezzo e pare possa essere sacrificato sull’altare delle mirabolanti somme che vengono  promesse per il  territorio.  Per calcolarlo c’è anche una sorta di tariffario. Quanto vale? Se agricolo: 89 euro all’ettaro, per un anno. Ossia: 24 centesimi al giorno. Una cifra (irrisoria), ovvio, stimata da coloro che quel paesaggio – tutelato dalla Costituzione – vogliono stravolgerlo con migliaia di pale. 

Tredici di queste, alte 200 metri,  le vuole installare Enel Green Power tra Sindia, Santu Lussurgiu, Borore, Scano di Montiferro e Macomer (territori interessati da rotori e opere connesse). La procedura davanti al ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica è già in stato avanzato, tanto che il prossimo 19 giugno scade il termine per la presentazione di osservazioni. La Regione ha da tempo presentato le sue: 224 pagine di stroncatura. E in mezzo all’impressionante mole di documenti c’è anche l’analisi del rapporto costi/benefici realizzata dall’azienda. 

Si fa riferimento al “percorso degli impatti” del parco eolico. Che se a livello globale sono su “atmosfera, consumo di risorse non rinnovabili, salute pubblica e biodiversità”, nello specifico riguardano “paesaggio, rumore, fauna, perdita di servizi ecosistemici, uso e occupazione di suolo, limitazioni all’edificabilità e  componente socio-economica». 

Bisogna dirlo subito, anche perché è scontato: nel rapporto tra costi e benefici la società stima questi ultimi come  enormemente superiori ai primi. In 30 anni (durata media di un parco eolico) si calcolano 140 milioni di benefici  (di questi ben 131.040.000 deriverebbero dalla salute pubblica guadagnata e dalle emissioni in atmosfera ridotta e 5 destinati a lavoratori locali) e appena 41 di costi per il territorio. 

Tra le voci di questi ultimi c’è, appunto, il paesaggio. Che per la zona interessata dal progetto di Enel è considerato  “agricolo”. Per questo esiste una “disponibilità a pagare (Willingness to pay o Wtp)” che nel 2023 è stata stimata in 268 euro all’ettaro. Il paesaggio,  sulla base di un report Ocse, «può considerarsi articolato su tra componenti chiave. Ossia la struttura: comprendente le componenti naturali (i.e. flora, fauna, habitat ed ecosistemi), l’uso del suolo (le colture ed i sistemi di coltivazione), i manufatti antropici o le tessiture tradizionali (i.e. siepi, muri a secco, edificato storico)». Poi «le funzioni: ossia i posti di vita, di lavoro, di svago, comprendenti i servizi ecosistemici». E ancora «i valori: concernenti i costi di mantenimento del paesaggio da parte degli agricoltori e il valore che la società attribuisce al paesaggio rurale, in termini di valore culturale e ricreazionale». 

Ed ecco il calcolo: «Ai fini della stima del costo ambientale conseguente all’impatto del progetto sul paesaggio agrario,  del tutto indicativa ed affetta da numerosi limiti» per stessa ammissione di chi fa i conteggi, bisogna «valutare la “perdita” del valore paesaggistico entro il suddetto areale in misura del 30% rispetto all’importo di 268 euro all’ettaro  in ragione del fatto che, nell’areale di riferimento, nessuna apprezzabile modifica sarà indotta rispetto alla prosecuzione delle attuali pratiche agricole né si prevede di intaccare, in modo irreversibile le tessiture territoriali, gli ecosistemi o il patrimonio storico-culturale». Per “areale di riferimento” si stima un cerchio con un raggio di circa un chilometro da ogni pala. 

Quindi: «Con tali presupposti, posto che le superfici in cui si è stimata una più marcata interferenza paesaggistica sono risultate pari a 31.258.511 m² (31,3 km² circa), il costo esterno da attribuirsi all’impatto paesaggistico è stimato in 3126 ettari x 268 €/ha x anno x 30% = 251.585,48 euro/anno». Per 30 anni quindi il paesaggio stravolto costerebbe appena 7,5 milioni di euro circa.

Tanto è “solo” paesaggio agricolo, si dirà.  In Regione la vedono in modo diverso: la direzione generale dell’Ambiente scrive che in tutti gli elaborati, definiti come realizzati  con «poca attenzione redazionale», si legge che «la presenza di attività agricole è ridotta a presenze marginali, periferiche. Questa immagine pervasiva», prosegue l’osservazione,  «non è ovviamente rispondente al vero. Su questi luoghi insistono aziende agricole di elevata qualità, che perseguono anche produzioni biologiche, che distribuiscono le loro produzioni su tutto il territorio regionale e anche oltre lo stesso e che sia dall’attività di un cantiere pluriennale, sia dalla perdita di suolo produttivo ne avrebbero grave danno. Fatto, questo, completamente obnubilato nel corpo» del progetto. I conti, quindi, non tornano. 

Enrico Fresu

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