Cambio dello statuto sardo, tra pieno esercizio di autonomia e autonomia differenziata
L’esigenza dell’Isola di uno spazio maggiore a livello nazionale e la necessità di una riflessione generale sul tema del riequilibrio complessivo del regionalismo italianoPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
“Il cambio dello Statuto è un passaggio cruciale perché definisce la postura della Sardegna nei confronti dello Stato”. “Con questo governo di destra, ogni volta che si parla di riforme o di interesse nazionale, la Sardegna viene sistematicamente marginalizzata”. Sono parole pronunciate da Alessandra Todde, Presidente della Regione Sardegna, in occasione dell’incontro organizzato a Cagliari dal senatore del Partito Democratico Marco Meloni.
Ebbene. Nulla quaestio sull’esigenza di ritagliare uno spazio di maggiore attenzione e rilevanza per la Regione Sardegna nelle scelte riformiste di carattere nazionale. Anzi, siffatta esigenza di maggiore “protagonismo” dell’Isola, se così si voglia dire, parrebbe affacciarsi all’attenzione generale, sollecitandone l’interesse, in maniera senz’altro doverosa anche in considerazione delle peculiarità geografiche ed identitarie del contesto isolano. Le vicissitudini della specialità della Regione Sardegna, ma in generale di ciascuna delle Regioni a Statuto Speciale già presenti in Italia, può a ragione definirsi come una lunga vicenda assai complessa, variamente articolata in segmenti di negoziazione assidua e persistente con lo Stato centrale diretta a realizzare la più utile e/o differente gestione di risorse e competenze. E, con buona verosimiglianza, proprio la stessa natura necessariamente pattizia che regola i rapporti tra Stato e Regioni a Statuto Speciale, e il medesimo rango costituzionale degli Statuti, che necessita di lunghe contrattazioni tra le due parti per raggiungere compromessi apprezzabili per tutte le parti coinvolte, rende il tutto molto difficile da portare a realizzazione. E questo già all’attualità, ossia in un contesto ove le Regioni a Statuto Speciale sono solo cinque.
Si pensi a cosa accadrebbe sul piano organizzativo e amministrativo nazionale se trovasse piena realizzazione pratica/attuazione la Riforma sulla Autonomia Differenziata voluta dal Ministro Calderoli già divenuta Legge numero 86 il 26 giugno 2024. Avrebbe ancora un senso discorrere in materia di cambio di Statuto Sardo? In quale direzione? Sarebbe una opportunità o un limite? Gli interrogativi, forse, non dovrebbero apparire peregrini se solo si voglia riflettere sulla circostanza che, sul piano squisitamente amministrativo, le criticità gestionali crescerebbero in maniera importante, e su tutto il territorio nazionale, con il rischio di dare luogo non solo a tanti tavoli di acceso confronto quante sono le ventuno legislazioni regionali differenti per quanto concernesse le stesse medesime funzioni, ma anche a tanti tavoli di confronti tra le stesse ventuno legislazioni regionali e lo Stato Centrale.
In un contesto siffatto, come potrebbe rilevare, sul piano differenziale e/o maggiormente specifico la Specialità Sarda e/o quella delle altre Regioni a Statuto Speciale già esistenti. In quali termini si porrebbe un potenziale “cambio di Statuto”? In quali termini potrebbe attuarsi?
Sarebbe innanzitutto rilevante iniziare a svolgere una riflessione generale sul tema del riequilibrio complessivo del regionalismo italiano al fine di eliminare le disparità esistenti e ridurre grandemente il divario tra Regioni del Nord e Regioni del Sud Isole comprese. Uniformità nella diversità.
Giuseppina Di Salvatore – Avvocato, Nuoro
