C'era un tempo una disciplina scolastica denominata Educazione Civica, in seguito abolita. Nella scuola elementare (oggi primaria) essa prendeva il nome di Educazione alla Convivenza Democratica, che non costituiva una materia autonoma, ma ricavava i suoi contenuti da una disciplina o ambito disciplinare denominato Storia, Geografia e Studi Sociali.

Oggi un coro di voci concordi chiede che essa venga reintrodotta nei curricoli delle scuole di ogni ordine e grado, un po' per colmare nei giovani un deficit di informazioni e di conoscenze circa le regole che presiedono al funzionamento dello Stato e delle sue istituzioni e un po' per orientarne le condotte al rispetto delle regole della umana e civile convivenza, la cui osservanza è messa a rischio dai ricorrenti episodi di indisciplina e di bullismo.

Non mancano a questo riguardo proposte non del tutto accettabili o poco consone alla natura complessa della materia e dell'azione educativa che la riguarda. Ad esempio, è capitato di leggere sulla prima pagina del più diffuso quotidiano italiano che ai giovani occorre insegnare la Costituzione, per consentire ad essi di prendere coscienza dei propri diritti, e ciò va bene. Ma non è sufficiente. Ci sono anche i doveri, mai dopo i diritti. C'è la necessità di conoscere l'ordinamento dello Stato. C'è la storia del Paese, di cui la Costituzione è figlia. C'è che occorre dare di ogni cosa una visione critica, di ciò che non va bene, ma anche delle cose più buone e belle, per sapere perché ci sono e perché sono tali.

Assegnare alla scuola questo impegnativo compito è cosa ovvia e inevitabile, a patto che non lo si affidi solo alla scuola. Il filosofo Aldo Capitini era solito ricordare la raccomandazione di un saggio che affermava: se vuoi educare un giovane al rispetto delle leggi, fallo vivere in uno Stato bene ordinato, ove alla saggezza delle norme si accompagni la loro osservanza. È il sogno della città educativa. E si sa che il contesto di vita opera per contagio, mentre la scuola assicura la riflessione e i necessari approfondimenti, che la vita non può offrire, se non in modo episodico e casuale. E allora ben venga la scuola come agente privilegiato dell'azione educativa. Sommariamente delineati gli obiettivi, viene spontaneo indicarne i contenuti, che non possono essere se non quelli offerti dalla Costituzione, e i valori e i principi che la fondano, compendio di un'ampia gamma di diritti e di doveri che sono lo sfondo su cui al giovane è possibile costruire la propria identità di uomo e di cittadino, criticamente aperta e consapevole delle ascendenze storiche, etiche e culturali.

Individuati i destinatari, gli obiettivi e i contenuti, bisogna accennare al mediatore, il docente, il cui compito è per definizione quello di favorire l'incontro coi contenuti nei modi adeguati al perseguimento degli obiettivi. L'efficacia della mediazione didattica dà la misura della professionalità di chi insegna, che si declina come capacità di proporre all'allievo contenuti scientificamente validi, senza tradirli, ma tuttavia adeguandoli in situazione alle capacità di chi apprende. Per fare questo, oltre alla padronanza della materia, serve la correttezza deontologica consistente nel depurare, finché possibile, la propria comunicazione da deformazioni riferibili a personali preferenze di natura ideologica, e dalle contingenze del confronto politico. Il soggettivismo connesso all'interpretazione, ove non controllato, renderebbe un cattivo servizio all'allievo, mentre sarebbe auspicabile e altamente formativo un equilibrato approccio critico.

Gabriele Uras

(Già dirigente del Miur)
© Riproduzione riservata