Londra è, nonostante la Brexit, una delle grandi capitali del mondo, e questo fa sì che la sua popolazione sia incredibilmente mista. Più di 8 milioni di persone di nazionalità, razze e religioni diverse chiamano Londra la loro casa, ma per quasi il 40%, nato fuori dal Regno Unito, questa è una casa adottiva. Un quarto dei londinesi è di origine non europea e più del 55% non è di etnia bianca britannica.

I numeri possono fare impressione, ma in verità dopo un po' è facile non farci caso. Il diverso diventa la normalità. Ma non a Natale. Il periodo natalizio in una città multiculturale è un potenziale campo minato. Per navigarlo è bene armarsi con il cosiddetto "politicamente corretto" o, come preferisco chiamarlo, semplice buon senso. Procediamo.

La sfida inizia ai primi di dicembre con i cartoncini. In Gran Bretagna mandare i cartoncini natalizi è un'ossessione nazionale, che si sta attenuando più per ragioni ambientalistiche che multiculturali. Io suddivido la mia lista di amici e colleghi in quattro categorie: cristiani credenti, cristiani per modo di dire, altre religioni, e atei incalliti. Per chi volesse arrivare ai livelli antagonistici della spedizione dei cartoncini in effetti ci sono varie sottocategorie, del tipo: cristiano cattolico, cristiano cattolico non occidentale, cristiano anglicano, cristiano protestante un po' puritano, non cristiano ma crede nel vecchio testamento (ebrei e musulmani), non cristiano non-monoteista, ateo ex-credente, ateo mai-messo-piede-in-una-chiesa, ateo "io ho la mia spiritualità individuale".

Ma per lo scopo di questo articolo rimaniamo al livello principiante, intermedio e le quattro categorie. Nel Nord Europa, dove sono stata a più feste di divorzio che di battesimo, i cartoncini con qualsiasi ritratto religioso li mando solo a chi è credente. Non perché non voglio rischiare di offendere (non me ne importa proprio nulla) ma perché essendo io stessa credente, mi sembrerebbe di sprecare l'immagine santa dove non sarebbe apprezzata. Perciò ai cristiani si-fa-per-dire arrivano i cartoncini con Babbo Natale, pupazzi di neve qualche renna e dei pinguini.

Alla terza categoria, i non cristiani, mando "Buone Feste" e non "Buon Natale". Fare gli auguri di Buon Natale a chi non lo celebra è un po' come fare gli auguri di buon compleanno a qualcuno in uno dei 364 giorni in cui non compie gli anni. Agli atei incalliti va qualsiasi cartoncino rimanga, di solito con qualche paesaggio nordico.

Spediti i cartoncini, inizia l'ansia per la recita scolastica. All'asilo del monello di casa si celebrano le feste di altre religioni, ad esempio Diwali, il festival delle luci celebrato dagli indù, sikh e certi buddisti, e Eid Al-Fitr, la festa che celebra la fine del mese di Ramadan per i musulmani, ma la festa di Natale rimane quella più importante. Anche i bimbi non cristiani (almeno la metà dell'asilo) partecipano. Maria e Giuseppe erano tutti e due bimbi non bianchi e il bambolotto-bambino Gesù era nero. Già sento le grida di orrore da parte dei soliti sospetti. Un bambino Gesù nero? Ma quando mai?! In un certo sento capisco lo scontento. Detto questo, sono stata sia a Nazareth che a Betlemme e di biondi con gli occhi azzurri non ne ho visto neanche uno. Perciò se gridiamo al politicamente corretto impazzito per un bambolotto nero, facciamolo anche per ogni rappresentazione della famiglia sacra che li fa sembrare provenienti dalla provincia di Stoccolma.

E ora siamo al pranzo di Natale. L'unica volta che ho seri dubbi sui benefici del multiculturalismo è quando devo preparare un pasto che soddisfi tutti i seguenti ospiti e criteri: cristiani italiani (mangiamo di tutto, ma deve essere buono), ebrei (niente suino, frutti di mare e non si può mischiare carne con latticini), musulmani (niente suino o alcol) e, più difficile di tutti, la sorella vegana che ha smesso di mangiare anche il miele per rispetto delle api. A questo punto rivendico la mia fede e annuncio che sto andando a messa con mio figlio, lasciando a mio marito (non cristiano) la sfida culinaria.

Capisco che tutto questo può sembrare un po' assurdo, e che c'è sempre il rischio che cercando di essere un po' di tutto si finisca col non essere veramente niente. Ma il confronto con altre culture e religioni non ha mai diminuito il mio senso di identità religiosa e nazionale. Non le ho mai viste come minaccia alla mia identità, anzi. È guardando altre usanze e fedi che ho capito e rafforzato di più la mia. Perciò Buon Natale a tutti, per chi ha fede, spiritualità o tanti dubbi. Ci serviranno tutti e tre nel 2019.

Barbara Serra

(Giornalista, conduttrice di Al Jazeera a Londra)

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