Non ci sto. Ho appena preparato un'altra caffettiera. L'idea di tornare per votare mi riempie la testa di pensieri. Il caffè aiuta a dissipare i dubbi atroci. Libero o astenuto? Nel momento in cui mi trovo davanti alla tastiera, penso ai giovani, penso a mia figlia, all'Isola. Penso alla primavera che si approssima e le innumerevoli bellezze che la natura offrirà facendomi sentire un privilegiato catapultato altrove.

Un incubo. La vita del "disterrau" è ambigua più dei racconti migliori. Raggiunge quell'apice di serenità oggettiva che un momento dopo diventerà tristezza assoluta guardando i gambi dei primi asparagi nelle mani dei fortunati raccoglitori. Già mi vedo i cigli pieni d'erba e gli incendi quotidiani. Scoppierà un'improvvisa epidemia di zecche e i primi temporali estivi metteranno a soqquadro le maestranze dei bacini idrici. Se ne scriverà a tonnellate. Diranno che un governo, uno qualsiasi di quelli eletti solo perché votare rende nobili un paio di volte nella vita, avrà clamorosamente mancato una promessa elettorale.

Quali promesse? Sfiderei dieci sardi a dirmi quale sia il fiume più importante dell'isola e quale comune ne sia il centro perfetto. Sfiderei un politico a illustrarmi le fasi salienti della mungitura e inviterei un tecnico a vivere l'esperienza di una tosatura. Senza nemmeno indagare chi abbia scritto "Il giorno del giudizio".

No. Non ci sto a farmi raccontare casa mia come se ad averla vissuta fosse un estraneo. Nemmeno essere ingannato come se a emigrare fosse stato un cugino di mia zia, troppo povero per darsi al lusso dell'esperienza.

A dirla tutta mi sento un soldato mandato alla guerra in Russia. Povero, spoglio, impaurito. Strappato all'ovile per andare al fronte. Obbligato a combattere sconosciuti russi per uno sconosciuto ideale che avrebbe congelato tutti i vicini di tancato partiti assieme perché "lo vuole la patria".

Mio nonno fece la guerra a Cirras, accanto allo stagno. Senza trincee. Una piorrea improvvisa gli strappò i denti e lui disperato cercò di tenere il gregge falcidiato dalle febbri palustri. Lottò con coraggio fino a quando le gengive sanguinarono e fu internato presso un ospedale psichiatrico per i postumi della disperazione. Povero e sdentato.

La vita del pastore dovrebbe essere insegnata nelle scuole. Da pagina uno. Capire come la vita funzioni se intesa nel suo rapporto intrinseco con la natura. Se inquini ti ammazzi. Se depredi rischi la salute. Se manometti e crei disagi, i tuoi figli patiranno la sorte. E andrai via per la malasorte della guerra in casa. I pastori tengono la corte come gli antichi Shardana sostenevano l'ombelico del mondo.

Detesto stare in fila per l'imbarco. Osservo quei giovani partenti, vestiti alla moda, che non s'aspettano le cifre folli della vita londinese e partono con le cuffie in testa noncuranti della frustrazione che li attende. Chi resta quassù, deve tacere. Tacere e fare. Mettersi a lavorare senza pensare che si tratti di un privilegio. Un privilegiato se ne starebbe a casa sua. Al massimo farebbe l'emigrato per il tempo necessario ad arricchirsi di coraggio. Poi tornerebbe. Comprerebbe un gregge, costruirebbe l'ovile. Comincerebbe a mungere e assecondare il destino come se dal suo lavoro dipendessero le sorti di una nazione infinita. Solo così mio nonno, i soldati, i giovani emigrati partiti troppo tardi avrebbero un riscatto meritevole.

Il caffè è uscito. Il miele sardo dissipa i dubbi. Prenoterò il biglietto, viaggerò fiducioso. Nel 1956 una nevicata sommerse l'Isola. Le donne e i bambini reclusi in casa, gli uomini, disperati, abbandonati nei salti dove la neve spaccava i muri a secco obbligandoli a combattere la natura inclemente. Sopravvissero per salvare il gregge e ridiscendere ai paesi a riabbracciare le famiglie in ansia. Che farsene dei denti sani se manca il pane da mordere? Come sentirsi felici di andarsene se la partenza è quella resa cui ci si obbliga per non morire davanti al plotone di esecuzione?

Mio nonno partì alla guerra presto. Aveva nove anni e l'esercito erano le capre al pascolo brado cui il padre non poteva badare. La prima notte di temporale il suo custode lanciò le pietre sul giaciglio per avvisarlo della presenza. Cominciò a tremare e non smise più. Morì da eroe e nessuno lo seppe.

Ho deciso. Voterò, e tornerò indietro. Almeno l'esempio sarà servito per una piccola grande causa. Tutto comincia dove si ama. Il resto, occorre.

ANDREA MEREU

(*scrittore di Sorgono e operatore culturale a Londra)
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