La legge-delega proposta dal ministro Bonafede, che prometteva una "epocale" riforma della giustizia penale, sarà pure in buona fede ma è inefficace, pericolosa e incostituzionale. Hanno perciò le loro buone ragioni Salvini, la Bongiorno, e con loro le associazioni degli avvocati e degli studiosi, per non condividerla.

Infatti molte e diverse sono le lacune e le incongruenze che presenta. Anzitutto, nessuna proposta è avanzata per la separazione delle carriere di giudice e di pubblico ministero, primo presupposto del "giusto processo", nel quale il giudice deve essere non solo distinto, ma equidistante dalle parti. In Italia, invece, l'accusatore continua a rimanere un collega del giudice, mentre il difensore è un estraneo, con buona pace del principio costituzionale del giudice terzo.

Va chiarito che la separazione delle carriere non attenta all'indipendenza del magistrato, ma è semplicemente una specializzazione tra due distinte professionalità, che richiedono distinte carriere, come avviene in molti Paesi europei. In Germania le carriere sono separate (fanno eccezione alcuni Laender, tra cui la Baviera, dove è ammesso il passaggio tra le due funzioni). In Spagna, in Portogallo e in Svizzera le carriere sono separate. In Olanda è possibile transitare da una funzione all'altra solo dopo specifici corsi di specializzazione. Negli Stati Uniti d'America è normale che un avvocato o un prosecutor, al termine di una prestigiosa carriera, diventi giudice, ma è inconcepibile che l'accusatore sia un collega del giudicante.

Dopo lo scandalo Palamara, ci si attendeva una profonda revisione del Csm che impedisse lo strapotere delle correnti all'interno della magistratura, degenerate in centri di potere e di illegalità, ed invece si propone un sorteggio con successiva elezione tra gli estratti e quindi una necessaria campagna elettorale, mentre è necessario modificare la Costituzione, con la creazione di un Csm per i giudici ed un altro per i pubblici ministeri, introducendo il sorteggio, unico sistema veramente casuale che impedisce le cordate politiche.

Sul piano del processo, nella legge delega di riforma non si rinviene alcuna regolamentazione contro l'impiego eccessivo delle intercettazioni che, da strumento eccezionale, sono ormai divenute l'unica prova del processo penale. Nessuna regola nemmeno per disciplinare l'invasivo virus trojan che intercetta comunque, dovunque, su qualunque argomento, chiunque abbia la sventura di entrare in contatto con il dispositivo intercettato, con soppressione della riservatezza dei cittadini.

Nessun controllo del giudice è introdotto sulla tempestività dell'iscrizione della notizia di reato. Ma ciò che è più grave è che si propone di lasciare ad ogni singolo Procuratore della Repubblica la scelta dei casi da trattare prioritariamente (mentre gli altri sono destinati alla prescrizione dei reati, dato che circa il 70 % dei reati oggi si prescrive durante le indagini preliminari). Ma anziché ridurre gli eccessivi tempi delle indagini, la proposta è di allungarli, rendendo ancora più "irragionevole" la durata del processo, peraltro senza alcun serio sbarramento che impedisca lo sforamento dei termini, perché l'eventuale sanzione disciplinare al magistrato non lenisce certo l'ingiustizia di un processo troppo lungo. Perciò, gravissimo e incostituzionale è lasciare agli uffici del pubblico ministero, anziché al Parlamento, la scelta delle notizie di reato da trattare con priorità, secondo "progetti organizzativi", redatti sulla scorta dei principi enunciati dal Csm. Ne risulta obliterata l'obbligatorietà dell'azione penale, che è imposta dalla Costituzione per garantire l'uguaglianza dei cittadini e l'indipendenza del P.M.

I riti speciali del patteggiamento e del giudizio abbreviato, che dovrebbero essere ampliati e agevolati per sfoltire il numero dei dibattimenti, restano ancora limitati e inappetibili. La piaga delle notificazioni, che rallentano il processo, anziché essere eliminata potenziando il servizio degli ufficiali giudiziari, in modo da garantire all'imputato e alle altre parti l'effettiva conoscenza del processo, come ci chiede la Corte europea dei diritti dell'uomo, si risolve scaricando sul difensore dell'imputato l'onere della notificazione: in altre parole, siccome lo Stato non riesce a effettuare le notificazioni all'imputato, incarica il difensore di provvedervi.

La verità è che per riformare la giustizia penale occorrono idee chiare e coraggio politico, qualità che mancano al ministro. Il guaio è che a gennaio entrerà in vigore la legge che blocca il corso della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, per cui, se non ci sarà, come temo, la riforma del processo penale, dall'anno venturo avremo processi che dureranno all'infinito con somma ingiustizia per la vittima e per l'imputato.

La conclusione è amara: se è vero, come scriveva nel 1801 Mario Pagano, che la civiltà di un popolo si misura dalle garanzie che il suo codice offre al cittadino, dobbiamo purtroppo riconoscere di essere, sul piano della giustizia, un Paese piuttosto incivile.

Leonardo Filippi

(Università di Cagliari)
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