Strage di Nizza, i sardi di ritorno dalla città ferita: "Ci siamo nascosti per non morire"
«Mi sembra ancora di vedere i corpi insanguinati, erano lì a pochi passi da me, e in sottofondo spari e urla». Aeroporto di Elmas, arrivi, volo diretto Nizza-Cagliari di EasyJet: non appena Sergio Cavoli, 44 anni, finanziere, si affaccia dalle portine scorrevoli i suoi bambini, di cinque e otto anni, gli corrono incontro. Trascina svogliatamente il trolley, ha gli occhi rossi e la voce rotta, non vede l'ora di rientrare con la sua famiglia nella loro casa ad Assemini.
Stringe i piccoli al petto, uno per volta, mentre le lacrime scivolano giù. Dopo aver visto la morte in faccia ripercorre ogni istante della strage folle che ha colpito al cuore la Francia, ancora una volta. «Ero nella Promenade, a cinquanta metri dal camion. È arrivato a folle velocità, inizialmente ho pensato si trattasse di qualcuno ubriaco, poi ho sentito i colpi di pistola e le urla della gente. E il caos: tutti cercavano disperatamente di scappare. A quel punto ho capito che si trattava di un attentato».
Trattiene il fiato per qualche secondo, come a voler cancellare quelle scene strazianti che difficilmente potrà dimenticare, poi riprende il racconto, quasi sottovoce. «Ho preso mia moglie per mano, e abbiamo iniziato a correre anche noi. Dopo aver raggiunto il casinò ci siamo rifugiati nello sgabuzzino. Con noi c'erano altre dieci persone, stretti in due metri. Gli spari sono andati avanti per un po', insieme alle grida. Poi finalmente il silenzio. A quel punto, dopo aver forzato la porta dell'uscita di sicurezza siamo andati al commissariato. Ci siamo tenuti sempre per mano, non ci siamo mai separati».