Le Province, e con esse le Città Metropolitane, sono tornate per l’ennesima volta al centro del dibattito politico regionale sardo. E se solo qualche giorno fa la coalizione di centrodestra annunciava l’imminentissimo passaggio da quattro a sei Province, come pure il passaggio da una (Cagliari) a ben due (Cagliari e Sassari) Città Metropolitane, tuttavia, stando a quanto battuto dalla stampa più recente, sembrerebbe che il progetto di riforma sia destinato a slittare a dopo Ferragosto siccome il Consiglio Regionale avrebbe pensato bene di cambiare le carte in tavola confermando, per il momento, la sola istituzione della Città Metropolitana di Sassari nonché la permanenza di sole cinque Province sulle originarie sei previste, ossia Nuoro, Oristano, Gallura, Ogliastra e Sulcis Iglesiente.

Immediata la reazione delle forze di opposizione, e in particolare del consigliere nuorese militante nel Partito Democratico, Roberto Deriu, quale autore e sottoscrittore di ben 820 emendamenti, il quale non ha lesinato di certo le parole e le critiche nel descrivere la legge in discorso come misura “sconclusionata” e “arlecchino”, ossia una legge in cui “non (ci sarebbe) armonia e neanche equilibrio nel ridisegnare la mappa degli enti locali” per essere, quella medesima legge, unicamente “un affastellamento di desideri particolari” privi di qualsivoglia “riflessione”.

Il confronto, dunque, si annuncia fin d’ora acceso e spinoso e sarà utile, io credo, attenderne gli esiti anche per comprendere quale reale impostazione, questo originale centrodestra sardo leghista vorrà imprimere alla propria attività di governo del territorio. Tanto più, allorquando si voglia ricordare, e considerare, che lo stesso Governatore Christian Solinas, appena poco più di un anno fa circa, nel bel mezzo dello scontro tra Salvini e Di Maio sulla utilità effettiva dell’Ente Provincia in discorso, si dichiarava pronto ad organizzare la “reintroduzione” (si fa per dire, non essendo mai stati realmente aboliti) di questi contestatissimi organismi intermedi, prevedendone, altresì, l’elezione diretta dei relativi rappresentanti da parte dei cittadini senza, tuttavia, ragionare sulla circostanza ineludibile, tutt’altro che di scarso rilievo e/o interesse, per cui le riforme, e intendo tutte le riforme, abbisognano di una loro precisa cronologia (e/o ordine razionale e razionalizzante) e di un loro conseguente coordinamento sistematico reciproco, il quale, all’evidenza, e diversamente da quanto hanno sempre mostrato di ritenere i leghisti e i loro alleati, non si caratterizza quasi mai come doverosamente e scontatamente coincidente con la ricerca del puro e semplice, quanto comodo, consenso elettorale di circostanza.

Ebbene, se tale, ossia incerto, è lo stato attuale del dibattito, comunque da riconsiderare nell’evolversi delle decisioni che verranno assunte nel prossimo divenire, quali potranno mai essere le prospettive future per la nostra Isola? Se è vero, come è vero, che la previsione e la conseguente istituzione delle Città Metropolitane poteva, e può, avere un senso nell’ottica di offrire una più efficiente risposta alle esigenze di coordinamento dei gradi centri urbani e del loro “hinterland” solo nell’ipotesi di de-costituzionalizzazione, mai realizzata, delle Province, come può mai giustificarsi oggi la loro contemporanea esistenza? Il centrodestra sardo, in buona sostanza, continuerà a porsi come espressione della tutela della casta e delle poltrone, oppure guarderà alle esigenze contingenti delle variegate, sia pur piccole, realtà territoriali provinciali? Le Province, in sé e per sé considerate, sono enti utili, oppure si qualificano per essere, tutto sommato, il solito “carrozzone” ozioso e inane finalisticamente orientato solamente a soddisfare gli appetiti politici degli interessati di turno? Quali potranno essere le conseguenze dell’introduzione di una seconda Città Metropolitana per le zone interne?

La risposta a siffatti interrogativi è tutt’altro che agevole, soprattutto allorquando si voglia ritenere maggiormente utile, semmai, ragionare su un piano superiore, ossia sul piano di un ripensamento complessivo del modo di considerare non solo l’autonomia, purtroppo “latitante” fin’ora nonostante il nostro essere Regione a Statuto Speciale, ma anche, e di conseguenza, lo stesso principio di autogoverno democratico, il quale, a sua volta, nell’uscire dagli schemi tradizionali, dovrebbe esprimersi non tanto in senso semplicemente e puramente “regolativo” (cfr., in questo senso, Carrozza, “Le Province della post-modernità: la città territoriale”), quanto piuttosto, e più opportunamente in senso strettamente “relazionale”, ossia “costru (endo) relazioni di sistema con gli altri enti omologhi, con il governo multilivello e con la società civile”.

Intanto, perché, per offrire una risposta agli interrogativi proposti, non appare affatto chiaro quale sia la distinzione tra le Province ancora sussistenti e le Città Metropolitane (ad onor del vero in tutto e per tutto simili all’ente intermedio che avrebbero dovuto sostituire) che possa giustificare una loro contemporanea compresenza sul piano giuridico-istituzionale, conseguendone il rischio oltremodo concreto, di veder lievitare numericamente le une e le altre in totale dispregio di qualsivoglia esigenza di semplificazione del già arrugginito apparato burocratico regionale.

Quindi, perché, quand’anche, come pare effettivamente essere, si volesse rendere più democratico il sistema elettivo dei rappresentanti di siffatti enti intermedi, tuttavia, tale misura non sarebbe comunque sufficiente a giustificare la loro immotivata moltiplicazione all’interno di una Regione, quale quella sarda, fortemente caratterizzata da fenomeni, mai risolti, di spopolamento costante e conseguente abbandono dei borghi minori, sicché, le Province medesime, che nel passato recente quasi tutto il mondo della politica voleva “rottamare”, nell’immaginario collettivo, continuerebbero ad essere concepite come pure e semplici formazioni ad uso e consumo della c.d. casta dei politici rampanti in cerca di sistemazione, ma, purtroppo, totalmente inutili sul piano gestionale pratico e, soprattutto, fonti di ingenti costi per i cittadini che, alla fine della fiera, non potrebbero ritrarre dalla loro permanenza e immanenza sul territorio alcun vantaggio pratico.

Infine, perché l’istituzione di più Città Metropolitane, soprattutto nelle sole aree limitrofe alle zone costiere, quindi finalizzate a favorire una crescita economica cosiddetta “a ciambella”, ossia concernente le sole aree perimetrali dei confini regionali, quand’anche effettivamente necessaria per la concreta gestione di un dato territorio, non può inopinatamente avvenire in totale dispregio di ogni esigenza legittima allo sviluppo armonico di tutti i territori della Regione Sardegna, e soprattutto di quelli interni, tradizionalmente considerati come “isole nell’isola” per la loro incancrenita difficoltà ad avere accesso ai principali servizi e per la mancanza di collegamenti stradali e/o, peggio ancora, ferroviari, giacché non vi è davvero chi non veda come ogni manifestazione di raffinato “policentrismo” possa confacentemente esplicarsi solo se coniugato ad uno slancio in senso solidale e sussidiario che non sacrifichi ingiustificatamente le aree più deboli e compromesse le quali, a loro volta, paiono destinate a restare sistematicamente escluse da ogni aspettativa di crescita con conseguente inevitabile degrado dell’ambiente circostante.

Concludendo, pertanto, sommessamente ritengo che prima di affrontare riforme radicali finalisticamente orientate a ridisegnare l'intera mappa geopolitica del territorio regionale sardo, sarebbe opportuno, preliminarmente, non solo procedere all’esame analitico delle problematiche interne e strutturali del territorio sardo nella sua interezza al fine di porvi rimedio, ma anche all’esame scrupoloso delle risorse a disposizione nell’ottica costante di “non lasciare indietro nessuno”.

Giuseppina Di Salvatore

(avvocato - Nuoro)
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