Alcune persone sembrano uscite direttamente dalle pagine dei romanzi noir o dei gialli più avvincenti. Non solo per quanto hanno fatto nella loro vita professionale, ma anche per i contorni caratteriali, le passioni, le ossessioni e l’impegno col quale hanno trasformato il loro lavoro in una vera e propria missione. Uno di questi è il sostituto procuratore Alessandro Pili, che il 2 luglio compirà 70 anni e dovrà lasciare la magistratura. Il suo nome è legato ad alcuni tra i più noti casi di cronaca nera dell’ultimo mezzo secolo: dall’omicidio di Gisella Orrù ai delitti del cosiddetto “Mostro di Arbus”, passando per un’infinità di altri crimini risolti in quarant’anni di indagini, dieci dei quali trascorsi a capo del pool omicidi.

L’ultimo giorno. Ufficialmente il pubblico ministero andrà in pensione a luglio, ma per via delle ferie maturate, ieri ha chiuso il suo ultimo giorno di lavoro in Procura. Nella stanza, al terzo piano del Palazzo di Giustizia, in tanti da giorni passano a salutarlo, mostrando un misto di emozione e rispetto. A iniziare dai carabinieri e dagli agenti di polizia che hanno lavorato con lui sin da quando, il 1 marzo 1983, è entrato in magistratura. Esperto, come detto, di indagini su omicidi e crimini violenti, per Alessandro Pili archiviare un delitto senza individuarne gli autori è sempre stata una decisione sofferta, da prendere il più tardi possibile, tanto che – ad ogni spunto d’inchiesta – cercava comunque di riaprire il caso. E lo ha sempre fatto non solo per dare una risposta di giustizia ai familiari delle vittime, ma per onorare anche quelle vite tolte con la forza a chi non si è potuto difendere. Esemplare il caso del neonato trovato morto nel febbraio 1996 sotto il cavalcavia di Bau Ferru, all’ingresso di Siliqua. Per 16 anni, ogni anno, il magistrato si è rifiutato di chiudere l’inchiesta, ordinando ai militari di controllare chi mettesse i fiori in cimitero su quella piccola lapide. Alla fine ha scoperto che l’infanticidio era maturato all’interno di una storia di incesto e violenze.

La ragazza del pozzo. Nell’estate del 1989, quando in un pozzo delle campagne del Sulcis era stato trovato il corpo nudo di Gisella Orrù, 16 anni, uccisa con un punteruolo al cuore, il pm Pili ha coordinato una delle inchieste più complesse e seguite di sempre. Tante piste battute dagli inquirenti: da quella dei riti satanici ai festini, sino a scoprire che dietro il delitto ci sarebbe stato un tentativo di violenza sessuale costato la vita all’adolescente. Tutti e tre i gradi di giudizio si sono chiusi con le condanne degli indagati.

Il mostro di Arbus. Quando l’Italia era terrorizzata dalla catena di delitti del Mostro di Firenze, il 4 settembre 1982, nei pressi della spiaggia di Piscinas, era stato trovato il furgone Volkswagen T2 con i cadaveri di due amanti tedeschi. La ragazza era stata prima violentata poi uccisa con una fucilata alla nuca. Coordinando il lavoro dei carabinieri, grazie al fiuto di un maresciallo, Pili era così riuscito a far condannare l’autore del duplice delitto, scoprendo anche i componenti di una banda autrice di numerosi altri omicidi.

Una vita in prima linea. Determinato, quasi ai limiti del machiavellismo, per risolvere il caso di un ragazzo ucciso il magistrato aveva fatto diffondere la notizia che fosse morto per un malore, mentre nel frattempo intercettava tutti. Dopo un clamoroso depistaggio, aveva fatto condannare un pentito di ‘ndrangheta. Le cronache dei giornali sono piene di notizie di fascicoli risolti da Alessandro Pili: dall’omicidio di due sorelle di Sardara, a quello del Jolly Market di Pula, passando per l’Ogliastra, dove d’estate faceva spesso il Procuratore facente funzioni. Dopo i 4 anni alla Direzione distrettuale antimafia e, prima ancora, altri 4 da giudice istruttore a Nuoro, non ha mai voluto fare carriera. Ma ha onorato il ministero pubblico sino alla pensione.

© Riproduzione riservata