Non gli è servito a niente essere il Ministero della Difesa. Il Tribunale amministrativo della Sardegna ha sentenziato una condanna senza precedenti: il dicastero delle stellette deve risarcire, senza perdere altro tempo, il militare colpito da tumore in seguito alla partecipazione alle missioni estere e alle esercitazioni nei poligoni sardi. Le parole vergate dalla seconda sezione del Tar sardo sono pietre miliari della giurisprudenza: i vertici della Difesa sono colpevoli di non aver protetto e salvaguardato la salute dei militari e di aver negato il diritto al riconoscimento della causa di servizio per chi si è gravemente ammalato di tumore in seguito a quelle attività belliche in scenari di guerra ed esercitazioni.

Spalle al muro

Quella che hanno scritto i Giudici del Tar, Presidente Francesco Scano, Marco Lensi consigliere e Grazia Flaim, relatrice del provvedimento, non è semplicemente una sentenza. Quello che emerge nelle 32 pagine del dispositivo è molto di più. In quell’enciclopedia giuridica depositata ieri mattina c’è l’autorevolezza di un Tribunale che non solo emette una sentenza con parole di fuoco, ma lo fa scaraventando spalle al muro nientemeno che il Ministero della Difesa, uno dei più potenti del potere consolidato dello Stato. Le parole sono dure come macigni, e non per caso.

L’antefatto

C’è un antefatto nella decisione che da ieri mattina appare, senza nomi e cognomi, nell’albo delle sentenze dei giudici amministrativi. Il Tar Sardegna, già a marzo del 2019, infatti, aveva messo nero su bianco una sentenza rimasta inappellata con la quale era stato disposto che il Ministero della Difesa riconsiderasse positivamente l’istanza di causa di servizio per un militare ammalatosi di tumore nelle missioni di guerra e nelle esercitazioni nei poligoni sardi. A distanza di oltre due anni non solo i vertici della Difesa non hanno adempiuto alla sentenza del Tar, ma, nel riesame della pratica, hanno nuovamente espresso il diniego.

Manu militari

La “manu militari”, ancora una volta, è stato il Comitato di Verifica che con un nuovo parere negativo ha negato l’esistenza di un nesso causale tra la patologia contratta e il servizio prestato. Il Ministero della Difesa, recependo tale parere, ha dichiarato il tumore «non dipendente da causa di servizio». Le argomentazioni dei vertici militari sono un’offesa per i tanti militari vittime di tumori contratti negli scenari di guerra e nei poligoni militari, in questo caso quelli della Sardegna. Nel dispositivo di diniego della causa di servizio per il militare malato scrivono senza pudore: la causa della malattia è attribuibile a «fattori di rischio “comuni” quali il tabagismo, l’esposizione a pesticidi».

Fumo & sigarette

Nel provvedimento che cancella le speranze del militare di vedersi riconosciuta la causa di servizio, le responsabilità vengono, senza pudore alcuno, attribuite al fumo e ai pesticidi. Scrivono di tutto ma – secondo i giudici del Tar - vengono ignorati totalmente i fattori di rischio “specifici” tra i quali l’esposizione ad uranio e nanoparticelle. Aver così palesemente negato al militare l’applicazione della sentenza ha mandato su tutte le furie i giudici del Tar Sardegna. Le parole di Grazia Flaim, Giudice relatrice, hanno la leggerezza di un macigno e l’eleganza di un fine giurista. E’ lei che lo scrive nella sentenza: il nuovo diniego è «aggravato dalla considerazione che il contenzioso attiene all’ottemperanza rispetto ad un già pronunciato annullamento del diniego».

Siete testardi

Come dire, siete testardi! Il Tar – si può esplicitare la sentenza - ha già affermato che la causa di servizio deve essere riconosciuta e, invece, «il Comitato di Verifica del Ministero della Difesa, ha omesso di effettuare, contrariamente a quanto stabilito nella pronunzia, un'accurata istruttoria «alla luce dei principi espressi in sentenza». Il nuovo pronunciamento del Tar sull’ennesimo diniego del Ministero della Difesa era stato richiesto dall’avvocato Angelo Fiore Tartaglia, una vera bestia nera per Generali e stellette di Stato, da sempre legale delle vittime. Un capitolo che sembrava già chiuso e che, invece, i vertici del dicastero di via XX settembre a Roma hanno voluto riaprire con un atto che lede i principi fondamentali del diritto, ovvero «violando e contraddicendo» palesemente la prima sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Sardegna.

L’affronto tra poteri

Un vero e proprio affronto “costituzionale” dei rappresentanti del Ministero ad un altro organo dello Stato, quello giudiziario. La storia del Maresciallo sardo, in forze all’Esercito Italiano, è riassunta in missioni ed esercitazioni: in Bosnia, Albania, Kosovo, Iraq, dal 1996 al 2005, attività addestrativa nei Poligoni sardi, Capo Teulada e Perdasdefogu, nel 1995, 2006, 2007, 2008 e 2010. Nel 2011 l’insorgenza del tumore fa scattare la richiesta di riconoscimento della malattia come causa di servizio. Il tutto legato – è scritto nella sentenza - «al forte inquinamento ambientale bellico presente in quei luoghi, ed atmosferico, a causa del largo uso di munizionamento pesante arricchito con uranio impoverito».

Nanoparticelle

Tutto questo con un’aggravante: «Senza possibilità di sottrarsi alla conseguente respirazione delle polveri e dei fumi provocati dalle deflagrazioni». Allegate alla richiesta tutte le ricerche effettuate da organismi internazionali in grado di dimostrare gli effetti dell’esposizione ad ambienti inquinati da «nano particelle di metalli pesanti». Il Ministero si esprime con un primo diniego: non esiste nesso causale tra la malattia e la presenza del militare nei poligoni militari sardi e le missioni estere. Il Tar nel 2019 impone al Comitato ministeriale il riesame del provvedimento, ritenuto dai Giudici superficiale, immotivato e per molti versi illegittimo.

La provocazione

Lo scontro diventa provocazione: il Ministero riapprova tale e quale il diniego, nonostante il Tar avesse indicato «parametri di riferimento rilevanti ed essenziali». E’ qui che l’autorevolezza del collegio del Tribunale amministrativo trasforma la nuova sentenza, quella di ieri, in una condanna senza appello, con una lavata di capo consona ai più indisciplinati bulli della Difesa.

La fotocopia

Scrive il Tar nella sentenza appena pubblicata: «L’Organo tecnico, anziché provvedere alla rivalutazione, approfondita, del nesso tra la patologia sofferta ed i vari fattori di rischio “specifici”, noti e provati, come espressamente enucleabili dalla sentenza, ha proceduto ad un riesame “fotocopia” rispetto al provvedimento già annullato, del tutto privo di nuove considerazioni apprezzabili». Il giudizio del Tar è durissimo: «La “scelta” oppositiva, compiuta dal Comitato, risulta elusiva dei principi e dei dettami contenuti in sentenza di accoglimento, con citazione di fattori di rischio generici e del tutto non pertinenti con il caso esaminato, ignorando (e negando) il valore della sentenza di cui si invoca la corretta esecuzione».

Senza protezioni

E, poi, la decisione gravissima con la quale il Ministero «ha totalmente ignorato che il ricorrente, durante le missioni in territorio estero, sprovvisto di idonee misure di protezione, è stato costretto ad ingerire ed inalare numerose “micro e nanoparticelle di metalli pesanti». Il giudizio finale è una bocciatura sonora della mano armata del Ministero: «Il parere del Comitato di valutazione risulta, quindi, del tutto carente a livello istruttorio ed elusivo della sentenza, laddove non ha analizzato i “fattori di rischio specifici” derivanti dall’impiego del ricorrente sia nelle missioni estere in territori di guerra, sia nei poligoni sardi».

Arriva il commissario

La determinazione finale della sentenza è un atto di una forza inaudita che mette spalle al muro nientemeno che il potentissimo Ministero della Difesa: se entro 40 giorni la sentenza non verrà recepita il più armato e invasivo dei dicasteri, quello della Difesa, è già, sin d’ora, letteralmente commissariato, con tanto di nome e cognome indicato nel provvedimento. Nel perenne muro di gomma dei Generali e vertici ministeriali si è conficcato un chiodo imponente, quello del Tar Sardegna.

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