In Sardegna ogni anno, puntualmente, ci troviamo ad assistere impotenti alla devastazione del nostro patrimonio naturale. La cronaca riporta quotidianamente non solo il resoconto degli effetti sconvolgenti degli incendi ma anche il sentimento di afflizione di un’intera popolazione che sembra non riuscire a far fronte al fenomeno e appare anzi rassegnata a viverlo quasi fosse una evenienza naturale cronicizzatasi nel tempo.

Ma è davvero così? Oppure il fenomeno ha una natura dolosa direttamente connessa all’esigenza di alimentare gli interessi di quanti, in qualunque modo, possano trarne vantaggio? Oppure, ancora, la responsabilità è solo ed esclusivamente collettiva siccome derivante dall’incapacità, e/o mancanza di volontà, di predisporre idonee misure preventive?

Rispondere non è affatto semplice perché, inevitabilmente, si rischia di cadere nella banalità. Innanzitutto, perché certamente, quello degli incendi sembra essere diventato un business vero e proprio che coinvolge tutti coloro che ad ogni livello risultino interessati dalle operazioni di spegnimento, quindi, soprattutto, la Protezione civile che fornisce i canadair, le società private che gestiscono le operazioni di elisoccorso e, conseguentemente, i vari fornitori di carburante. Quindi, perché ben si sa che talvolta l’incendio delle aree boschive costituisce il modo più rapido, in periodo di carestia, per l’avvio di nuovo terreno da adibire a pascolo sebbene esista un’ampia normativa, costantemente disattesa, diretta ad impedire tale utilizzo delle aree colpite da incendio nell’anno immediatamente precedente. Inoltre, perché proprio gli incendi altro non sono se non il riflesso di un conflitto interpersonale diretto ad esprimere in maniera violenta il malessere presente nelle nostre realtà agro-pastorali frequentemente interessate da episodi di sconfinamento di pascoli, da vecchi rancori tra proprietari e affittuari dei fondi, dall’illegittima occupazione di aree pubbliche. Infine, perché non si può neppure negare che questa costante incapacità di qualificare con certezza questi eventi incendiari, siccome il più delle volte di causa ignota, renda tutto così complesso che appare molto più semplice rifugiarsi nei luoghi comuni piuttosto che ammettere che, alla base, ciò che manca è non solo una effettiva, compiuta e costante attività di investigazione preventiva funzionalmente diretta al controllo delle aree maggiormente esposte a rischio, ma anche un’attività privatistica del singolo cittadino interessato diretta a porre in sicurezza i propri poderi attraverso la formazione di "fasce parafuoco".

L’intento non è certo quello di colpevolizzare chicchessia e/o di puntare il dito su chi, con grande coraggio, si sacrifica per la tutela del territorio, come ad esempio i volontari cui deve andare il nostro sentito ringraziamento, ma solo quello di comprendere, per un verso, come mai, a distanza di anni, non si sia ancora in grado di gestire e arginare il fenomeno, e, per altro verso, come mai, dal punto di vista mediatico, la politica tutta non faccia sentire la propria voce di fronte a quello che oramai è divenuto un vero e proprio cataclisma che pian piano condurrà alla desertificazione e al perimento dell’intera Isola dato che, notoriamente, le aree percorse da incendio, hanno purtroppo tempi di recupero molto lenti.

Posso comprendere che in estate la politica vada anch’essa in vacanza, ma questa non può costituire certo una valida giustificazione. Neppure possiamo pensare di affidare la gestione del fenomeno al solo settore giudiziario sebbene esistano norme dirette a punire chiunque, dolosamente, ponga in essere un atto incendiario siccome, evidentemente, vietare sulla carta un certo comportamento non significa certamente impedire che venga posto in essere trattandosi, piuttosto, di un tipo di intervento, quello giudiziario, di carattere punitivo rimediale strettamente connesso alla precisa e chiara identificazione, a posteriori, di un potenziale colpevole. Alla fine della fiera, è fin troppo chiaro che, anche a voler prescindere dalle cause scatenanti, è la carenza di qualsivoglia forma di manutenzione pubblica delle aree interessate a favorire il divampare e il dilagare degli incendi i quali ben potrebbero essere definitivamente debellati se solo, finalmente, la Regione Sardegna e per essa i singoli comuni si adoperassero per la creazione di squadre speciali addestrate e finalizzate non solo ad eseguire una accurata mappatura delle aree maggiormente interessate dal fenomeno, ma anche a porre in essere, nel corso dell’intero anno, e tutti gli anni, serie e motivate attività di coordinamento con gli addetti alla sorveglianza dei luoghi che possano disporre, a loro volta, di effettivi punti di controllo, stabili e mobili, sul territorio medesimo al fine di agevolare anche la corretta manutenzione.

Ciò favorirebbe pure la creazione di stabili posti di lavoro e, quindi, il contrasto della povertà. Prevenire gli incendi è possibile ed è fondamentale. In questo senso, seguendo pure le indicazioni dell’Unione europea sul punto, e traducendole sul piano locale, dovrebbe essere attivato un vero e proprio sistema di protezione civile di carattere regionale che sia in grado di coinvolgere, attraverso un impegno sinergico, le varie comunità locali le quali, considerata l’area ridotta di propria specifica pertinenza, possono garantire un più valido contributo al fine di rendere più sicuro il territorio studiando, all’uopo, anche forme alternative di un suo utilizzo economico in funzione produttiva. Vogliamo impegnarci in tal senso o vogliamo aspettare di perire bruciacchiati?

Giuseppina Di Salvatore

(avvocato - Nuoro)
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