Il paziente due di Cagliari: "Giorni durissimi, esco da un incubo"
Docente universitario, era finito in ospedale dopo l'imprenditore morto dodici giorni faPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
«Come sto? Ora bene. Ho fatto gli ultimi due tamponi, e finalmente sono risultati negativi. Mi hanno revocato il provvedimento di isolamento. Tuttavia, il Dipartimento di prevenzione continua a chiamarmi due volte al giorno per la sorveglianza sanitaria. La polmonite c'è ancora, ma la saturazione è ottima: dovrò fare un'altra lastra e poi potrò dire di esserne uscito».
Parla il paziente sardo Covid-19 numero due, è un cagliaritano di 52 anni, professore universitario. Il paziente uno è morto dodici giorni fa.
Ha deciso di raccontare la sua vicenda, è un uomo coraggioso.
«Credo che la testimonianza di chi ce l'ha fatta possa essere utile. Questo virus è un vero mostro».
Il suo caso è stato eclatante a livello nazionale.
«Faccio parte del direttivo dell'Aiia, l'Associazione Italiana di Ingegneria Agraria, e avevamo organizzato un convegno internazionale a Udine, il 20 e 21 febbraio. Un evento in preparazione dall'estate scorsa e, sotto data, in Italia non c'era ancora nessun provvedimento che ci mettesse realmente in allarme, non avevamo nessun elemento fondato per cancellare l'incontro».
Così è partito.
«Dalla Sardegna siamo partiti in quattro, e all'andata, né a Cagliari né a Fiumicino c'erano controlli. Ci hanno misurato la febbre a Trieste».
Quando è rientrato?
«Venerdì 21 febbraio, e a quel punto anche a Elmas c'erano i controlli della temperatura. Ma io stavo bene».
Ha trascorso il weekend a casa?
«Con la mia famiglia siamo usciti a mangiare fuori. Poi lunedì mi è venuta la febbre, 37 e mezzo, e la tosse».
Chi ha avvertito?
«Il medico di base, che all'inizio mi ha detto che poteva trattarsi di un'influenza».
Lei però si è preoccupato subito?
«Avevo saputo che alcuni colleghi del convegno erano stati male, poi il 29 febbraio, quando i tamponi di due colleghi piemontesi sono risultati positivi, credo che le Asl si siano messe in contatto tra loro. Mi hanno chiamato e emanato un provvedimento di quarantena per me e i miei familiari».
Niente tampone?
«Non subito, sono peggiorato, la febbre è salita a 39, e a quel punto, il 3 marzo, sono venuti un medico e un'infermiera di Malattie Infettive del Santissima Trinità e me l'hanno fatto».
Solo a lei?
«Sì. E la sera mi hanno comunicato che ero positivo. Il giorno dopo sono tornati e li hanno fatti ai miei familiari, che per fortuna sono risultati negativi. Fortuna probabilmente aiutata dal fatto che io mi sono subito isolato, ho dormito solo, usato un altro bagno, altri asciugamani, altre stoviglie. Rispetto a queste misure mia moglie e stata cruciale e molto determinata. La contagiosità è molto alta e matura, in media, tra il settimo e il decimo giorno».
E poi l'hanno ricoverata.
«Il medico che ha fatto il tampone ai miei mi ha auscultato e prescritto una lastra. Quello stesso pomeriggio sono venuti a prendermi con un'ambulanza, messo dentro una "culla" a pressione negativa e portato a Is Mirrionis. Tengo a sottolineare che i sanitari sono stati di grande umanità e professionalità e mi hanno spiegato bene che effetti provoca il CoV e come è necessario comportarsi. Sono persone di grande sensibilità, che rischiano tutti i giorni. A loro va la riconoscenza mia e della mia famiglia».
Era il 4 marzo.
«Sì, e purtroppo in quell'occasione è circolato un video totalmente inopportuno dell'ambulanza sotto casa mia. Vedevamo dalla finestra una signora in strada che riprendeva con il telefonino. Poi sono circolate diverse voci false. Sono fatti che fanno riflettere sulla pochezza umana».
Quanto tempo è rimasto in ospedale?
«Una decina di giorni. Da quella prima lastra, si è visto che c'era un piccolo focolaio di polmonite interstiziale bilaterale, un decorso classico, il virus stava attaccando i polmoni. Mi hanno tenuto in isolamento stretto e curato con due antibiotici e un antivirale, il Kaletra, un farmaco efficace contro l'Hiv e consigliato dell'ospedale Sacco di Milano. Sono stato tenuto in osservazione molto accurata e fortunatamente ho reagito bene alle cure. Sono stato aiutato molto anche dal servizio psicologico dell'ospedale, dove lavorano persone di grande sensibilità e professionalità».
E i colleghi che erano con lei al convegno?
«Contagiati una dozzina, su circa sessanta partecipanti, un numero enorme. Dei sardi, una è ricoverata in monitoraggio al San Francesco di Nuoro ma sta abbastanza bene, un altro ha passato un'influenza, un'altra non ha avuto nessun problema».
E finalmente, il 14 marzo è stato dimesso.
«In un primo momento, non sono stato d'accordo: ero ancora positivo e con la polmonite. Poi, mi hanno rassicurato sul fatto che avrei potuto tranquillamente proseguire la terapia a casa. Hanno chiarito che erano impegnati a trasformare urgentemente tutti i posti del reparto in posti di terapia intensiva».
E dov'è andato?
«D'accordo con la mia famiglia, ho deciso di isolarmi in un appartamento disponibile. Mi sono organizzato, mi faccio lasciare la spesa fuori dalla porta, leggo, mi tengo informato guardando la Rai e Videolina».
Adesso è negativo.
«Sì, qualche giorno dopo la dimissione ho finito di prendere le medicine, i polmoni sono a posto, ma devo fare ancora una lastra per accertare la guarigione completa. Prolungherò l'isolamento per almeno una settimana, per ridurre ulteriormente il rischio di contagio, visto che non sappiamo con certezza per quanto tempo il Sars Cov 2 sopravvive fuori dall'organismo umano».
Cristina Cossu