Quattro calci a un pallone in piazza Del Carmine e due ghinghe alle biglie. Negli anni Quaranta la palestra era quella. Sennò c'era il Poetto. Ma Alberto Pizzoccheri, primo di cinque fratelli, padre milanese e madre cagliaritana, non sapeva nuotare.

"Allora per il tredicesimo compleanno mi sono fatto regalare una maschera". Giocava in casa: i genitori avevano un negozio che trattava anche articoli subacquei. "Ho scoperto un mondo, mi sono messo parallelo al fondo marino e ho imparato a nuotare".

Visto l'entusiasmo il magazziniere gli ha preparato un manico di scopa con una fiocina.

"Sono diventato il terrore di sogliole e polpetti". Ma non bastava: "Volevo andare a Geremeas, a quei tempi era una gita fuori porta, o a Pula, così lontana che ci voleva il passaporto".

Si comincia così a intuire che l'ironia è una costante nel racconto di una vita.

"Aspettavo che il padre di qualche amico mi portasse". Col manico di scopa. "L'ho usato per quasi due anni". Fino a quando per una delle poche promozioni a scuola ("ero così affezionato al Pacinotti che mi sono trattenuto un po' di più") ha ottenuto un fucile subacqueo.

Il battesimo è stato nel luglio 1962.

"Lo ricordo come fosse ieri, avevo 15 anni e per il mio compleanno avevo chiesto ai miei genitori di mettermi in contatto con Tarditi e Grosso affinché mi portassero a pesca con loro. Siamo andati a Malfatano, avevano un barchetta di plastica di tre metri. Loro hanno pescato molto, io solo un sarago, un verdone e un polpo ma è stato uno dei giorni più belli della mia vita. Facevo parte dell'equipaggio".

Mendicava passaggi e quindi pescava occasionalmente e solo d'estate. Nel frattempo ha fatto il militare a Livorno con i paracadutisti: "Avevo libera solo la domenica e non pensavo alla pesca". Allo sport sì, però. "Ho fatto i campionati militari di tetrathlon: corsa campestre, percorso a ostacoli, tiro col fucile e nuoto rudimentale". Sarebbe? "Ti butti in acqua vestito e nuoti per 50 metri. Sembra facile". No, no, per nulla. "Sesto individuale e primo a squadre".

Con le gare di pesca aveva cominciato da poco. "Avevo 17 anni, era il 1963, a Carloforte, sono ovviamente arrivato ultimo", dietro fuoriclasse del calibro di Treleani, Chiarolini, Grosso. "Però c'ero".

La prima vittoria nel 1970 a Porto Pino: "Ho capito come si faceva" e da allora non ce n'è stato per nessuno. Nove titoli sardi, dieci partecipazioni ai campionati italiani assoluti, tre volte in Nazionale.

Carriera straordinaria. E longeva: dal 1963 al 1988. Venticinque anni.

"Ci vuole una solida costituzione fisica, una grande preparazione psicologica - la testa è importante in tutti gli sport, nella pesca di più - e tanto allenamento in mare: l'apnea aiuta l'apnea".

Stava sott'acqua senza respirare quasi due minuti. "Allora era normale".

È stato il trait d'union di due generazioni di campioni: "Oggi hanno attrezzature diverse, fanno allenamenti diversi, in compenso non ci sono pesci, non a quote umane". E la mente corre a Bruno De Silvestri. "Il miglior sub che ci sia mai stato in Sardegna".

Che cosa è successo? Stringe le spalle e spegne il sorriso: "Si è trattenuto più del necessario. Era a 49 metri, col motorino: è stato ricostruito tutto attraverso il computer dell'orologio che ha registrato l'immersione".

Come può accadere a un campione? "Quando sei in una situazione di benessere superi il target di immersione, non arriva più ossigeno al cervello e se sali in superficie non ti succede niente, se sei ancora sotto muori".

C'è da aver paura del mare. "No ma bisogna rispettarlo, è la forza distruttiva più grande, bisogna agire senza temerarietà perché è sempre più forte di te". E, pur senza pensare al peggio, sa riservare sorprese non proprio bellissime. "Una volta un'aragna mi ha punto sulla schiena e ho passato i giorni peggiori della mia vita. Mi sono gonfiato come l'omino Michelin". Però riconosce le sue colpe: "Diciamo la verità, le avevo scocciate il giorno prima". Una vendetta, insomma. "L'avevo vista arrivare dal fondo ma non avevo potuto evitarla. Dopo un anno avevo ancora dolori".

Sposato da quasi 41 anni, "felicemente", due figli, "il più piccolo è venuto a pesca con me", sa bene quale ansia hanno vissuto i suoi familiari durante le sue immersioni.

"Mia moglie qualche volta ha fatto la mia barcaiola, e io lo so che quando uno scende chi sta sopra frigge. È capitato anche a me, con mio figlio: molti capelli bianchi mi sono venuti anche per questo". Ha una faccia simpatica, la battuta pronta, la serenità di chi ha fatto tutto quello che ha voluto divertendosi.

"Aggredito dai centri commerciali il negozio di famiglia di viale Elmas è stato chiuso e io mi sono riciclato come consulente finanziario, con un certo successo, anche se non è un lavoro per me".

Lo sport gli ha insegnato l'autocontrollo. "Più del paracadutismo". E poi, la costante dei grandi campioni: "Poiché uno vince e tutti gli altri perdono, si impara a perdere. Questo è utile nella vita che non è tutta rose e fiori". Lucidità e sangue freddo: la gara si finisce, sempre. "E siccome non mi piace lasciare le cose a metà, ecco che con calma mi sono pure laureato in Scienze politiche, avevo 40 anni. Lavoravo e studiavo".

Alla vigilia del compleanno numero 73 (l'8 luglio) non rinuncia al mare: "Pesco stupidaggini. A parte che ora i posti belli sono interdetti: Tavolara, La Maddalena, Villasimius, Calagonone. Il mare senza pesci non è divertente".

Può sempre tornare indietro nel tempo, indossare la maschera, mettersi parallelo al fondo marino e continuare a guardare quel mondo bellissimo. E il manico di scopa non serve più.

Maria Francesca Chiappe
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