Nel 1987 gli italiani hanno detto "no" al nucleare con un referendum che ha decretato la chiusura delle centrali attive all'epoca.

L’Europa quindi ha chiesto all’Italia di individuare un deposito nazionale, quello in cui stoccare i rifiuti radioattivi. Ma gli anni sono passati, il nostro Paese ha sempre rinviato ogni decisione fino al 2003: quell’anno viene annunciata l’individuazione del sito idoneo, precisamente a Scanzano Jonico, nel Materano. Immediate le proteste da parte dei cittadini del territorio che lamentavano preoccupazioni per le colture, in particolare per le famose clementine, gli agrumi che da lì vengono distribuiti anche all'estero.

E tra sit-in e manifestazioni, alla fine il decreto con cui quel luogo era stato "prescelto" viene ritirato dal governo.

Di cosa si tratta? Quali sono le caratteristiche del deposito di cui oggi si torna a parlare dopo che anche la Sardegna è stata tra le aree potenzialmente idonee ad ospitarlo?

"Sarà un’infrastruttura ambientale di superficie che permetterà di sistemare definitivamente in sicurezza i rifiuti radioattivi, oggi stoccati all’interno di decine di depositi temporanei presenti nel Paese, prodotti dall’esercizio e dallo smantellamento degli impianti nucleari e dalle quotidiane attività di medicina nucleare, industria e ricerca", si legge tra le informazioni fornite dalla Sogin. Un esempio? Le siringhe usate per le radioterapie fanno parte dei rifiuti radioattivi.

E di quanti metri cubi parliamo? "Nel Deposito Nazionale – spiega ancora la Sogin - saranno sistemati definitivamente e in sicurezza circa 78.000 metri cubi di rifiuti radioattivi a molto bassa e bassa attività, la cui radioattività decade a valori trascurabili nell’arco di 300 anni. Di questi rifiuti, circa 50.000 metri cubi derivano dall’esercizio e dallo smantellamento degli impianti nucleari per la produzione di energia elettrica, circa 28.000 metri cubi dagli impianti nucleari di ricerca e dai settori della medicina nucleare e dell’industria. Sul totale di circa 78.000 metri cubi, 33.000 metri cubi di rifiuti sono già stati prodotti, mentre i restanti 45.000 metri cubi verranno prodotti in futuro. Inoltre, nel Deposito Nazionale sarà compreso anche il Complesso Stoccaggio Alta attività (CSA), per lo stoccaggio di lungo periodo di circa 17.000 metri cubi di rifiuti a media e alta attività".

Da un punto di vista meramente tecnico e operativo ecco come si dovrebbe svolgere la pratica: "I rifiuti radioattivi a molto bassa e bassa attività, condizionati con matrice cementizia (prima barriera) verranno trasportati al Deposito Nazionale in contenitori metallici, i manufatti. In seguito, tali contenitori saranno inseriti e cementati in moduli (seconda barriera) di calcestruzzo speciale (3 m x 2 m x 1,7 m), progettati per resistere almeno 350 anni. Tali moduli verranno a loro volta inseriti in celle (terza barriera) di cemento armato (27 m x 15,5 m x 10 m) anch’esse progettate per resistere almeno 350 anni. Una volta riempite, le celle verranno sigillate e rivestite con una collina artificiale (quarta barriera) in grado di prevenire l'infiltrazione dell'acqua".

Per far sì che tutto avvenga in sicurezza, sono stati stilati alcuni criteri per l’individuazione del sito idealmente idoneo. Sono numerosi e vanno da quelli di esclusione (come la sismicità elevata, presenza di fenomeni di fagliazione o a rischio inondazione per lo sfondamento di barriere) a quelli di approfondimento che servono per definire le aree individuate una volta applicati quelli di esclusione (e quindi, ad esempio, la presenza di manifestazioni vulcaniche secondarie o di fenomeni di erosione accelerata).

Anche la Sardegna rientra tra le destinazioni ipotizzate, circostanza che secondo Piero Risoluti, il massimo esperto italiano di materiali radioattivi, è assolutamente da escludere (LEGGI L'INTERVISTA).

(Unioneonline/s.s.)
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