Il campanilismo che ci divide: il commento di Paolo Fadda
Un campanilismo, alimentato dalla diseguaglianza dei territori, che rende necessario nell'Isola il riequilibrio socio-economicoPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Nei primi anni '60 quel grande giornalista che è stato Indro Montanelli, scrivendo sul "Corriere della Sera" una serie d'articoli d'inchiesta dedicati alla Sardegna allora in piena euforia per la Rinascita, annotava come ogni nuova intrapresa rimanesse condizionata da rivendicazioni ed invidie localistiche.
Aspetti, a suo giudizio, di quel particolarismo sardo, di quell'essere da sempre "mal unidos", che continuava a "sbriciolare in interventi sconnessi" ogni pur valida iniziativa. Tanto da rendere sempre più difficile indirizzare al meglio gli investimenti, dato che ogni villaggio pretendeva la sua parte "e quando non può far valere nessun requisito che ve lo qualifichi - aggiungeva - si appella ad un criterio di pretesa equità che non può condurre che ad una inutile dispersione di risorse".
Dopo mezzo secolo, ahimé, si potrebbero scrivere le stesse cose, dato che quelle contrapposizioni fra luogo e luogo sono tuttora d'attualità e, forse, sono divenute ancora più acute. Ora, se in passato ci si contendeva fra paesi vicini - è storia - per avere il campanile più alto o la caserma dei reali carabinieri, oggi si disputa sull'apertura di un museo o di una guardia medica, oppure, meglio, sull'inserire un compaesano nella giunta regionale. Per cui - è cronaca - l'esecutivo per essere veramente tale dovrebbe essere formato da rappresentanti dei sette od otto cantoni in cui si divide l'Isola. Quel che sembra interessare è ottenere il rispetto di quel malinteso criterio di disporre di padrinati territoriali.
Non vi è dubbio quindi che tra le cause del difficile decollo delle politiche di sviluppo attuate nell'Isola vi siano anche queste ripetute rivalità fra i diversi territori. Per superarle occorrerebbe quindi rendersi conto delle motivazioni. Che, a detta di molti, nascono dalle forti diseguaglianze socio-economiche esistenti (e mai eliminate) nei 24mila chilometri quadrati della Sardegna. Un problema già esistente secoli or sono nel difficile e diseguale rapporto esistente fra città e campagna, a cui si è poi aggiunto quello fra zone costiere e zone interne. Con differenze notevoli in fatto di reddito pro capite: non sarà un caso che, ad esempio, Pula ed Orosei doppino Pompu e Silanus. S'avverte quindi un forte bisogno di un riequilibrio nell'habitat socio-economico di queste due differenti Sardegne. Attraverso l'adozione di idonee correzioni che non possono che partire dalla politica.
Ad iniziare da un rilancio dell'agricoltura, con progetti e sostegni adeguati, dato che viene ritenuta la grave malata dell'economia isolana. Indicata poi come causa ed effetto dello spopolamento delle zone interne. Un continuo malessere che l'ha portata a regredire dal 3,1 all'1,8 per cento del valore aggiunto nazionale del settore. Oltre ad esser divenuta, per gran parte degli operatori, un'attività di semplice e modesta sussistenza familiare, senza prospettive di poter divenire, come vorrebbe il catechismo economico, un insieme di imprese capaci di competere efficacemente sui mercati, conseguendo successi e profitti.
Ci sono tre dati che fotografano la gravità del male: il primo riguarda il valore del prodotto per addetto, divenuto inferiore per quasi un terzo sulla media nazionale; il secondo attiene al reddito per ettaro coltivato, rimasto anch'esso fra i più bassi del Paese, mentre il terzo riguarda l'estrema ed irrazionale frammentazione delle proprietà agricole. Le cause? Andrebbero ricercate innanzitutto in una carenza quasi assoluta di innovazione, dall'utilizzo di nuove sperimentazioni produttive ai legami posti in essere con le istituzioni indirizzate alla ricerca, come l'Università. Si è rimasti con coltivazioni e rese poco competitive ed inadeguate sul piano della redditualità.
Ora, se altrove si parla già di un'agricoltura 4.0, che con l'uso di tecnologie altamente innovative riesce ad ottenere due-tre raccolti ogni anno, da noi sembrerebbe che il sostegno al lavoro agricolo debba giungere solo dagli aiuti pubblici. Tanto ci sarà sempre un Pantalone disposto a sostenere un settore divenuto incapace di autosostenersi.
PAOLO FADDA
STORICO E SCRITTORE