L’impennata dei contagi è oramai inarrestabile, spinta dalla variante Delta che in Sardegna, a un mese dall’ingresso in sordina, è già prevalente. Ieri il bollettino dell’unità di crisi regionale ha registrato 233 tamponi positivi su 2.534 test, quasi il 10%. Infezioni che in nove casi su dieci sono causate dal mutante ex indiano.

Cagliari e il Sud Sardegna sono l’epicentro dell’ondata (ieri con 162 e 36 casi). I pazienti ricoverati sono 60, quattro in più; altri quattro sono in terapia intensiva.

Infezioni facili

«Ci dobbiamo aspettare un forte aumento delle persone infette. La storia delle epidemie è questa: nel momento in cui aumentano i contagi la crescita è esponenziale», dice Antonello Serra, responsabile della sorveglianza sanitaria dell’Aou di Sassari. «È chiaro che una variante più infettiva si diffonde con più facilità. Sappiamo che la Delta è il 60% più contagiosa della variante Inglese, più dell’80% del ceppo originario di Wuhan. Il problema è dunque la facilità con cui si trasmette: secondo uno studio cinese la carica virale, cioè la quantità di particelle, nei soggetti infetti è in media mille volte superiore a quella rilevata nei contagiati dal ceppo inglese».

Inoltre, continua “diminuisce il tempo di esposizione al virus: se per la trasmissione con la variante Inglese io dovevo parlare con una persona a voce alta per circa dieci minuti; con la Delta, a parità di condizioni, basta un contatto più breve”.

L’incubazione breve

«Questa impennata di contagi è dovuta anche al fatto che il periodo di incubazione della variante Delta è molto più breve», sottolinea Giuseppe Mameli, responsabile del laboratorio Covid del San Francesco di Nuoro. Se finora passavano in media sei giorni dal contatto con un infetto prima che il tampone molecolare risultasse positivo, adesso la carica virale c’è tutta dopo quattro giorni. «Di buono c’è che a una maggiore contagiosità sembra non corrispondere un aumento del rischio di ammalarsi in maniera grave; questo grazie ai vaccini e al fatto che i più colpiti sono i giovani, la fascia di popolazione meno immunizzata».

Sintomi seri tra i giovani

Va detto che anche giovani, tra i quali si sta registrando un numero crescente di infezioni da SarsCoV2 nelle ultime settimane, mostrano sempre più spesso anche sintomi seri della malattia. Ciò è la conseguenza dell'aumento significativo di contagi in questa fascia d'età che determina anche una maggiore rilevazione percentuale di casi sintomatici gravi.

«Anche i giovani, sin dall'inizio della pandemia - spiega Massimo Andreoni, direttore di Infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma - sono stati sempre colpiti dal virus, sia pure con numeri ridotti, ed hanno presentato casi anche gravi, tanto che sono stati registrati dei decessi. Quindi è sbagliato pensare che ragazzi ed adolescenti sviluppino sempre delle forme lievi o paucisintomatiche, ovvero con pochi sintomi, della malattia».

«Vediamo sempre più spesso giovani con Covid che presentano sintomi come, ad esempio, la perdita dell'olfatto e del gusto. Si tratta di sintomi considerati moderati-lievi ma, in realtà, sono fortemente debilitanti. Sappiamo infatti che possono permanere per periodi anche lunghi o addirittura evolvere in una condizione cronica». E, avverte, «si iniziano a vedere anche casi di polmoniti di media severità». 

(Unioneonline)

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