È l’operazione più spericolata mai compiuta sui cieli della Sardegna. Roba da acrobati finanziari e pasticcioni di terra. In pratica, aerei in volo, quelli di Alitalia, che si fermeranno il 15 di ottobre per far transitare sugli stessi aerei gli stessi passeggeri. Si cambia solo nome e livrea. Nessuno, però, in teoria lo deve sapere. L’Europa ha vietato qualsiasi contatto tra la vecchia compagnia di bandiera e la nuova. Un bluff tutto italiano per cancellare i misfatti della regina dei cieli affondata a colpi di spese folli e una gestione da baraccone di Stato. I commissari della nuova Ita sono un disco rotto, qualsiasi cosa gli si chieda rispondono con una liturgia che hanno imparato a memoria: siamo una cosa diversa da Alitalia. E’ vero, l’esordio, infatti, forse è peggio. Sono riusciti a presentarsi alla gara per la continuità territoriale da e per la Sardegna senza avere gli aerei. Roba che se la raccontano in giro per l’Europa rischiano di nascere con l’appellativo, già coniato, di “compagnia di carta”.

Il vizio genetico

In molti sono convinti che essersi presentati alla gara sarda senza aerei sia stato un errore nella tempistica, una sottovalutazione dei tempi. L’errore, invece, non è tale. Tutto è legato indissolubilmente al Dna di Alitalia. Se l’Europa dovesse esaminare l’atteggiamento di Ita verso la Sardegna, e il sacrosanto diritto alla continuità territoriale, si accorgerebbe che la genetica non è un’opinione. Sia Alitalia che Ita, madre e figlia, si rapportano con il diritto dei sardi e della Sardegna di essere collegati alla pari di ogni territorio e di ogni cittadino europeo come il diavolo con l’acqua santa.

Allergia alla continuità

La storia è costellata da una sistematica avversione della compagnia di Stato a svolgere l’unico servizio per il quale avrebbe ragione di esistere: il collegamento di un’Isola, la Sardegna, con il continente. E, invece, il silente e sotterraneo tentativo di far saltare per aria il collegamento aereo da e per la Sardegna, tutelandolo dalle speculazioni, è una costante, sin dagli albori. La partita, l’Alitalia, non è mai riuscita a portarla a casa, nonostante le innegabili forzature di Stato e non solo. Nel 2002, quando nacque la prima continuità territoriale, si trovò come competitor in casa l’Alisarda – Meridiana, sino ad arrivare ai giorni nostri con l’avvento di Volotea, la compagnia low cost spagnola che irrompe sulla scena come una stilettata dritta alle aspirazioni monopoliste della neonata compagnia di Roma. Il colpo è basso, tanto da far saltare i giochi di potere che già si volevano rinnovare sui cieli dell’Isola. E’ tutta qui la storia di questa dannata continuità territoriale. L’Europa ha imposto nero su bianco, già dal 1996, una regola inviolabile: sui cieli che collegano un’Isola con la terra ferma non si specula. La norma è sintetica: per garantire i collegamenti aerei si impongono oneri di servizio pubblico, ovvero le compagnie che vogliono svolgere quel servizio devono “accontentarsi” di un utile d’impresa tra il 4 e il 6%. Vuol dire che non possono speculare, non possono guadagnare a mani basse sulla “disgrazia” di una terra isolata. Una cintura di sicurezza che l’Europa ha imposto per rotte e frequenze da stabilire in base a precise esigenze di mobilità, corrispondenti al diritto di merci e passeggeri di muoversi a pari condizioni su tutto il territorio europeo, dentro gli Stati a maggior ragione. Per l’Alitalia sin da subito è stata una privazione inaccettabile. Sulla Sardegna, infatti, aveva sempre fatto cassa. Soldi a manetta con biglietti dal costo proibitivo, tanto chi voleva entrare o uscire dalla Sardegna, non aveva molte altre scelte, o aereo o navi bestiame, come nel passato. Non c’è stata una sola volta che Alitalia abbia accettato l’imposizione degli oneri del servizio pubblico.

Il bottino

Ha sempre atteso la fase due delle gare, quella che gli “regalava” non meno di 40/50 milioni di euro all’anno, 400 milioni e passa in dieci anni. Secondo la norma dovevano essere denari funzionali a “compensazioni”, da erogare per ripianare eventuali diseconomie rispetto al prezzo imposto ai passeggeri per la continuità territoriale. In realtà sono sempre stati soldi regalati alle compagnie aeree visto che il costo del biglietto stabilito per il servizio pubblico garantiva da solo un guadagno superiore del 4-6% rispetto ai costi reali del trasporto aereo.

Costo ora di volo

A dettare la linea erano sempre gli uomini di Alitalia, a partire dalla definizione del costo dell’ora volata. Un elemento imprescindibile per determinare il reale costo del biglietto aereo. In pratica la somma di tutte le voci di produzione: il costo del carburante, quello del personale, del catering, delle assicurazioni, della sosta negli aeroporti, sino all’ammortamento degli aerei. Ed è sempre su quest’ultima voce che la Sardegna ha fatto da bancomat alle pretese di Alitalia. Nel 2011, per esempio, venne calcolato l'ammortamento degli aerei, come se fossero stati appena comprati. Gli Airbus 320 venivano contabilizzati per un valore di 50 milioni di euro. Peccato che all'epoca quegli aerei avevano tutti la bellezza di 12/17 anni di vita. Con questo meccanismo si è continuato a far pagare alla Sardegna, ai sardi e ai passeggeri, aerei vecchi come fossero stati nuovi di zecca.

Trucco & ammortamento

Nell'ultima conferenza dei servizi, scoperto l’inganno, si taglia l'ammortamento degli aerei: nel 2011 erano stati calcolati 1.786 euro per ogni ora di volo, nel 2016, invece, diventano appena 732 euro all’ora di volo. Peccato, però, che nel 2016 altre voci siano cresciute, dall'utile d'impresa, passato dal 4% al 5,6% a fantomatiche spese generali sempre più esose. Tutto questo nonostante il carburante fosse passato da 915 dollari a tonnellata ai 149. Un dato che la dice tutta sul grande buco nero della continuità territoriale della Sardegna. Basti un dato, il costo dell’ora volata fatto pagare da Alitalia alla Sardegna è del 35% in più rispetto a tutte le grandi compagnie europee, dalla Lufthansa alla British Airways, e del 45% in più rispetto alle compagnie low cost. Un regalo consentito e autorizzato, sia da Roma che da Cagliari.

Leasing d’oro

Del resto è il sistema Alitalia a fare acqua da tutte le parti: basta analizzare le spese di leasing degli aerei degli ultimi quattro anni di amministrazione straordinaria per capire che la Sardegna è stata un bancomat continuo, funzionale a pagare con soldi pubblici i buchi gestionali a livello centrale. Negli ultimi 4 anni di amministrazione straordinaria l’Alitalia ha pagato un sovrapprezzo di “noleggio” di 137.644.000 euro all’anno. Significa che nel quadriennio appena passato oltre mezzo miliardo di euro è stato “buttato” in sovrapprezzo di noleggio. Qualcuno ha cercato di gettare la croce dello spreco sui dipendenti, niente di più falso: il costo medio per dipendente di Alitalia al netto degli oneri è di 48.000 euro procapite, in linea con tutte le compagnie europee.

Costi stellari

Cambiano, invece, tutte le altre voci, quelle dove gli affari sono fuori controllo: Alitalia spende per la manutenzione il 40% in più di quanto spende qualsiasi altra compagnia europea, contabilizza costi superiori del 20% per la sosta in aeroporto, spende il 6,3% in più del costo del carburante rispetto alla media di tutte le altre compagnie. Per non parlare delle centinaia di milioni di euro di affitti, noleggi e consulenze milionarie, da Roma agli Stati Uniti. Ora arriva Ita, con gli stessi aerei, con gli stessi codici del passato, con lo stesso vizio di Alitalia: considerare la continuità territoriale da e per la Sardegna un bancomat da spremere.

Tariffa unica

Tra Covid, cambio di nome, lifting e la propensione “genetica” agli sprechi di Stato, la nuova compagnia è riuscita persino a portare a casa quello che Alitalia non aveva mai ottenuto: la cancellazione della tariffa unica. Nei meandri d’alto bordo, tra Roma e Cagliari, è stato cancellato, senza colpo ferire, un diritto inalienabile, quello di considerare la Sardegna una regione alla pari di tutte le altre. Un cittadino di Roma per andare a Milano e viceversa pagherà sempre lo stesso biglietto a prescindere dalla residenza. In Sardegna, invece, chi non è residente, emigrati, lavoratori, turisti, pagheranno il triplo e anche il quadruplo. Il danno non sarà solo per loro, ovviamente. A pagare sarà l’intera Isola, dall’economia all’occupazione. Per lo Stato, quando gli conviene, la Sardegna non è Italia.

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