Risuonano solo i flutti sulla spiaggia rosso-deserto di Punta Don Diego. L’ombra di sua Maestà, quell’Isola di Tavolara maestosa come non mai, si staglia come un orizzonte esclusivo su questo promontorio di Costa Dorata, enclave privè di Loiri Porto San Paolo. Nord Sardegna, sud est della Costa Smeralda, defilata e riservata, fuori dal jet set di Porto Cervo, ma non per questo meno osannata. Trentadue gradi sbattuti in faccia, come se qui l’estate non finisse mai. Eppure, in questa stradina lastricata che costeggia Cala Finanza, non ci passa più nemmeno un vigilantes. Deserto, come se il Big Bang avesse fermato tutto di colpo. Quando arrivi alla soglia della sbarra del “quattro stelle”, nascosto agli umani che giungono dalla terra ferma, ti accorgi che quel paradiso immerso tra lentischi e pitosfori, piscine e campi da tennis, ha smesso da tempo di dispensare suite e camere vista mare. Inutile prenotare, qui non ti risponde nessuno.

Impegni con gli Usa

Chiuso per sopraggiunti, urgenti e inderogabili impegni con la giustizia americana. Il Don Diego Hotel ha miracolosamente chiuso la stagione da qualche settimana, nonostante l’estate climatica imperversi come se fossimo ancora pieno agosto. Il suo futuro, però, quello di questo angolo di Sardegna, è ormai dentro il carcere di Busto Arsizio, profonda Lombardia, dalla vista mare della Costa Dorada alle celle blindate del nord d’Italia.

Non un divieto di sosta

Quella che stiamo per raccontarvi non è una storia di vacanze finite male, ma semmai un vero e proprio caso internazionale, con tanto di servizi segreti americani e russi che in tempo di guerra si contendono il padre padrone di questo esclusivo resort in terra di Sardegna. Quando il 19 ottobre scorso all’aeroporto di Malpensa l’uomo è stato fermato, il passaporto era scaduto. Le generalità, però, hanno fatto la differenza: Artem Uss, classe 1982, nato a Mosca, domicilio senza numero civico in via Gabriele D’Annunzio a San Teodoro, l’anima a mare del nuorese. Il mandato di cattura non era per divieto di sosta. A firmarlo era nientemeno che il capo della Corte di Giustizia degli Stati Uniti d’America, distretto di New York.

FBI in campo

A seguirne le mosse c’era schierata l’FBI in persona, il Federal Bureau of Investigation, ovvero il più famoso servizio di intelligence e sicurezza al mondo, quello degli Usa, la principale agenzia federale di polizia americana. Lo hanno seguito in lungo e in largo, non solo perché davanti a quell’hotel nella Costa Dorada, dentro l’Isola di Tavolara, c’è una delle basi della Nato più attive sul piano del coordinamento militare nel Mediterraneo, ma soprattutto perché il giovane Uss tutto era fuorché un modesto proprietario di hotel nell’enclave oligarchico russo nell’Isola di Sardegna. Quell’anonimo ragazzotto, figlio del presidente della Regione russa del Krasnoyarsk, secondo l’FBI, era a capo di una vera e propria organizzazione criminale capace di sottrarre agli Stati Uniti d’America le più sofisticate strumentazioni belliche da usare, come pare accertato, nel conflitto bellico contro l’Ucraina. Ad intercettarlo non sono state le tre antenne americane, alte più di duecento metri, per comunicazioni terrestri a lunghissimo raggio e bassissima frequenza posizionate sulla vetta di Tavolara, ma un sistema di intelligence dislocato in mezzo mondo che ha seguito e intercettato bonifici, pagamenti, messaggi e traffici di dispositivi militari sofisticatissimi passati dall’America alla Russia. Ai raggi x dell’FBI è passato di tutto, a partire da quel fiume di denaro di provenienza fuori controllo per il quale i Giudici americani hanno disposto l’arresto in Italia del rampollo di casa Uss.

Rischio corto circuito

Non uno qualsiasi, ma un potente, legato a doppia mandata, attraverso il padre, controverso governatore del territorio Krasnoyarsk, direttamente a Vladimir Putin. Quello che si sta triangolando tra la Sardegna, la Russia e gli Stati Uniti è uno di quei casi internazionali che possono degenerare in un corto circuito senza precedenti, richiamando alla memoria la gestione del caso Sigonella, quando Bettino Craxi, Presidente del Consiglio negò all’allora numero uno della Casa Bianca, Ronald Reagan, l’arresto dei terroristi dell’Achille Lauro. Non è un caso che in queste ore sia stato lo stesso portavoce dello Zar del Cremlino, Dmitry Peskov, a prendere posizione sull’arresto del figlio del governatore siberiano. L’attacco è stato frontale all’Italia accusata di aver agito in nome e per conto degli Stati Uniti. Le parole di Putin, attraverso il suo braccio destro, sono state durissime: «Il Cremlino condanna l’arresto in Italia dell’imprenditore Uss». Il caso rischia, dunque, di esplodere da qui a poco. Da una parte gli americani chiedono al neo Governo italiano di procedere senza perdite di tempo all’estradizione di Uss negli Stati Uniti e dall’altra Mosca minaccia reazioni «definite missioni diplomatiche» per evitare il trasvolo verso Brooklyn di Artem Uss. Il detenuto eccellente ha già comunicato di rifiutare l’estradizione negli Usa.

Sigonella bis

Per l’Italia si apre un crocevia pesante come un macigno: qualsiasi scelta, sia in punta di diritto che politica, rischia di scatenare l’incidente, con gli Stati Uniti o con la Russia. In ballo, però, non ci sono accuse di poco conto. Il documento finito nelle nostre mani e che pubblichiamo è una disposizione diretta del numero uno della Corte di Giustizia americana, distretto di New York. Quarantanove pagine di accuse pesantissime, circoscritte con tanto di bonifici riservatissimi e triangolati, compreso quel vortice di denaro riconducibile ai mille affari in terra d’Occidente e di Sardegna, messi a segno in questi ultimi otto anni, compreso l’acquisto dell’hotel di Don Diego in Costa Dorada. Una compravendita controversa sulla quale sarebbe stato intercettato un bonifico eseguito attraverso una delle più potenti banche d’affari americane. La ricostruzione che fa il distretto orientale della Grande Mela è un capo d’accusa senza scampo: evasione di sanzioni globali, ciclopico riciclaggio di denaro, contrabbando di milioni di barili di petrolio, riciclaggio di decine di milioni di dollari per gli oligarchi russi. L’accusa più grave, non che le altre non lo siano, è, però, quella relativa all’esportazione in Russia di tecnologia militare americana. Un aspetto che ha visto in campo tutta l’intelligence americana compreso il Direttore della Task Force KleptoCapture, una struttura paramilitare che persegue ogni violazione delle sanzioni americane.

Riciclaggio per oligarchi

Il dispositivo di New York è una sventagliata di accuse senza appello: “Gli imputati erano agenti criminali per gli oligarchi, orchestrando un complesso schema per ottenere illegalmente tecnologia militare statunitense e petrolio sanzionato dal Venezuela attraverso una miriade di transazioni che coinvolgono società di comodo e criptovaluta. I loro sforzi hanno minato la sicurezza, la stabilità economica e lo stato di diritto in tutto il mondo" – ha messo nero su bianco il Procuratore capo degli Stati Uniti. Una guerra parallela dichiarata senza mezzi termini: «Continueremo a indagare, interrompere e perseguire coloro che alimentano la brutale guerra della Russia in Ucraina, eludono le sanzioni e perpetuano l'economia oscura del riciclaggio di denaro transnazionale». Il numero due dell’FBI, quando parla degli uomini guidati dal patron della Costa Dorada, è esplicito: «Abbiamo smantellato una sofisticata rete composta da almeno cinque cittadini russi e due cittadini venezuelani, ciascuno dei quali è direttamente collegato a imprese statali corrotte, che hanno cercato consapevolmente di nascondere il furto della tecnologia militare statunitense e di trarre profitto dai neri mercato del petrolio».

Rete criminale

Il giovane Uss non era, secondo gli investigatori americani, un semplice proprietario d’albergo in Sardegna, piuttosto il perno di una vera organizzazione. Scrivono gli inquirenti: «Questa rete prevedeva di procurarsi una tecnologia sofisticata a supporto diretto di un complesso industriale militare della Federazione Russa in difficoltà». Sulla Costa Dorada le sbarre sono rimaste chiuse. Della Don Diego srl, la società, guidata da due donne russe, intestataria del resort omonimo, non c’è traccia. La holding Luxury Sardinia, a capo del sistema sardo di Uss, sembra in sonno. Al confine con l’hotel vista Tavolara, a pochi metri dal mare, come se niente fosse, intanto, si sta costruendo un immenso complesso edilizio attaccato alla spiaggia. Come se nello stato oligarchico russo di Don Diego, nella Costa Dorada, non esistessero i limiti di legge. Il dispositivo di arresto degli americani, però, è garantista: rischiano trent’anni di galera ma «le accuse nell'atto di giustizia sono accuse e gli imputati sono presunti innocenti a meno che e fino a prova contraria». Per adesso sbarre chiuse anche a Busto Arsizio. Da lì, però, il patron di Punta Don Diego, non potrà traguardare Sua altezza l’Isola di Tavolara. Gli Stati Uniti lo attendono.

© Riproduzione riservata