C’è più sabbia che terra in Limburgo. Distese infinite, levigate ogni giorno dal Mosa, quel fiume che si fa guado e confine per l’eterna Maastricht, la capitale di questa euroregione per eccellenza, a cavallo tra Olanda, Belgio e Germania. Qui sono nati i trattati europei, quelli che hanno fatto nascere l'Unione Europea e l'euro, almeno teoricamente. Questo lembo d’Europa si contende con la Sardegna, la miniera di Sos Enattos a Lula, il primato del silenzio universale, quello necessario per realizzare l’Einstein Telescope, il più grande “orecchio” cosmico della terra destinato ad intercettare le onde gravitazionali, il mistero del cosmo. Se c’è un anfratto dove si può affermare che sia nata l’Unione moderna degli Stati europei è proprio questo.

Riequilibrio & divari

Trattati di riequilibrio, parametri di coesione, regole uniche per tutti, patti di stabilità e moneta unica. Tutto qui, nel pensatoio d’Europa. In questo vecchio ducato, però, si consuma non solo l’ambizione dell’Unità europea a tutti i costi, ma anche la più evidente delle contraddizioni del vecchio continente. A sancirlo non è il vetusto dogma della protesta o della perenne lamentazione, come qualcuno vorrebbe sibillinamente tradurre il flebile richiamo alla “coesione” e al “riequilibrio” tra Stati e tra Regioni d’Europa. Se ci fosse una Costituzione europea, declamata in lungo e in largo, l’articolo uno non avrebbe avuto scampo da una missione tanto annunciata quanto violata: recuperare i ritardi delle regioni deboli, riequilibrare infrastrutture, svantaggi e divari. Laddove l’Europa è nata, però, è anche di fatto sepolta.

Parlano i dati

Lo dicono i dati, le analisi oggettive, le comparazioni tra le diverse aree d’Europa, tra Regioni forti e deboli. Il divario tra ricchi e poveri non è una lamentazione a buon mercato. Basta aprire la mappa interattiva appena varata dalla Commissione Europea sull’indice della competitività regionale, quella denominata due punto zero, teoricamente del futuro, per capire che non c’è sfida: i ricchi saranno sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. La forbice dei divari non si restringe, ma si allarga, sempre di più. Il Limburgo, un milione e centoventimila abitanti, nella classifica delle 233 regioni d’Europa, è al 13esimo posto. Il suo indice di competitività, un mix tra infrastrutture, servizi territoriali, alle imprese e alla persona, appena registrato dalla direzione generale della Politica Regionale, è abbondantemente sopra la media europea. Se l’indice base europeo è 100, il Limburgo ha un indice di 131,6, che lo colloca nelle top d’Europa, a due passi dalla regione numero uno, l’Utrecht, guarda caso anch’essa nel cuore dei Paesi Bassi, con un indice di 150,9. Non c’è storia con la Sardegna. Per scovare l’Isola dei Nuraghi bisogna scorrere la classifica per sprofondare oltre le 200 regioni, sulle 233 dell’analisi europea. Per incontrare i parametri della più grande e vera regione insulare e ultraperiferica d’Europa, la Sardegna, bisogna raggiungere gli abissi, al gradino numero 203. Una posizione emblematica, soprattutto perché è l’ultima elaborazione ufficiale della Commissione Europea, un dato certificato con il bollino di Bruxelles. Non ci possono essere superflue riflessioni sull’attendibilità del dato, semplicemente è quello ufficiale.

Confronto impietoso

In questa classifica appena varata dalla Direzione Generale delle Politiche regionali emerge, però, una comparazione ancor più grave dello stesso misero posizionamento registrato a fine del 2022. La cartella excel per l’elaborazione dei dati europei, con tutti i parametri e gli algoritmi di calcolo, propone, infatti, il raffronto pesantissimo con le due precedenti analisi, quella del 2016 e quella del 2019. Un confronto impietoso da cui emerge il tracollo dei parametri della Sardegna a partire dalla posizione nella graduatoria delle regioni d’Europa. Nel 2016 l’Isola era posizionata al 160 esimo posto su 233, nel 2019 aveva perso due posizioni collocandosi sul gradino 162.

Termometro rosso

Nel 2022 il termometro europeo della competitività fa segnare il crollo, sbalzando la Sardegna da metà classifica alle calende greche, sino al 203esimo posto, a due passi dall’inferno degli ultimi posti. L’analisi è spietata nei dettagli, con l’indice della competitività che riesce ad arretrare non solo nel confronto con le altre regioni d’Europa, ma anche rispetto al dato dell’ultima rilevazione regionale, quella del 2019. La base di calcolo dell’indice europeo è 100. Ci sono regioni come le prime d’Europa che sono abbondantemente oltre. Si pensi che la prima regione, Utrecht, nei Paesi Bassi, segna un indice di competitività di 150,9. Per la Sardegna anche in questo caso significa bassifondi. Se tre anni fa l’Isola aveva un indice di 68,9 ora è persino tornata indietro, attestandosi al 67,4 della media europea. Una disfatta.

Infrastruttrure

Parametri che messi uno sull’altro sono la lettura oggettiva di una terra, quella sarda, devastata dall’assenza di infrastrutture e servizi, con assenza di collegamenti che la mettono ai margini del mercato europeo, sia per quanto riguarda le merci che le persone. L’indice infrastrutturale misurato dall’Europa è uno schiaffo in faccia all’insularità, quella che riguarda la connessione verso l’esterno, ma anche una batosta rilevante sul piano interno. Sul versante infrastrutturale, infatti, la Sardegna, anziché avanzare, regredisce, a dimostrazione che tutti gli altri recuperano terreno e limitano sempre più i divari interregionali. Anche in questo caso l’indice base delle infrastrutture europee è 100.

Retromarcia

La prima regione in Europa è “Ile de France” che nel 2022 registra un indice di 185,8, l’85% in più della base di calcolo. La Sardegna precipita in fondo alla classifica infrastrutturale con un dato eloquente: 61,3 a fronte dell’indice 100 della base europea. Un indicatore che misura strade e ferrovie, connessioni trasportistiche e servizi primari. Nel quadro d’insieme, messo sotto osservazione dagli uffici di Bruxelles, rientrano gli indici fondamentali, efficienza e innovazione. Pilastri prioritari dell’analisi europea sono istituzioni, stabilità macroeconomica, infrastrutture, salute e educazione di base, istruzione superiore e apprendimento permanente, efficienza del mercato del lavoro, dimensioni del mercato, prontezza tecnologica, raffinatezza aziendale e innovazione.

Magra consolazione

Non ci sono molti elementi di consolazione nemmeno con il confronto con le altre regioni italiane: a pari merito della Sardegna, per indice infrastrutturale, ci sono Puglia, Basilicata e Sicilia. Nella classifica generale europea, sempre nelle parti basse, si possono trovare la Puglia (204°), la Basilicata (205°), la Sicilia (214°), e, infine, la Calabria (220°). Basterà, però, inserire gli stanziamenti che si stanno prevedendo per il Pnrr e le grandi infrastrutture del sud Italia, a partire dalla realizzazione del Ponte sullo Stretto, per far precipitare strutturalmente e definitivamente la Sardegna nella mesta classifica di competitività tra Regioni d’Europa. Qui, in terra sarda, resteranno solo pale eoliche e paesi deserti. Il riequilibrio tanto agognato, quello insulare ed europeo, rischia di diventare un eterno miraggio, svenduto al miglior offerente.

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