Riesplode la rabbia degli operai della Portovesme srl dopo il nulla di fatto con cui si è conclusa ieri la riunione al ministero delle Imprese e del Made in Italy.

Futuro incerto e troppo poco tempo per evitare il licenziamento collettivo dopo un periodo di cassa integrazione. Così, i 1.450 lavoratori che operano negli stabilimenti di Portovesme e San Gavino hanno già avviato la mobilitazione, ben prima dell’assemblea degli operai convocata per lunedì alle 8 ai cancelli della fabbrica del Sulcis.

A Portoscuso tre dipendenti si sono incatenati ai tornelli di ingresso, a San Gavino i lavoratori sono in assemblea permanente, hanno piazzato le tende sul tetto della sala riunioni e non sembrano intenzionati a smobilitare. E proprio nel Medio Campidano la protesta andrà avanti a oltranza, perché in questo stabilimento i lavoratori della fonderia saranno messi in cassa integrazione a zero ore da aprile: quindi stipendio dimezzato e, senza un piano di riconversione o riavvio, perdita del posto di lavoro.

«Siamo arrivati a fine marzo che abbiamo spento tutte le macchine, colato tutti i materiali preziosi e dall'1 aprile saremo in cig a zero ore - dice Cristiano Lisci della Rsu Filctem di San Gavino -. Siamo quasi tutti giovani e l'età media dello stabilimento è tra i 38 e i 39 anni: abbiamo messo su famiglia e comprato casa e ora quali sono le nostre prospettive? L'azienda vuole chiudere definitivamente i cancelli a San Gavino e per questo motivo da ieri siamo qui dentro e rimarremo qui sino a quando l'azienda non ci darà le risposte per il futuro».

La tensione è ormai alle stelle e non sono da escludere, già nelle prossime ore, iniziative clamorose come qualle dei quattro operai che a inizio marzo sono saliti a 100 metri d’altezza su una ciminiera dell’impianto Kss del piombo. Lo fecero proprio per sollecitare un tavolo ministeriale che si è concluso ieri con una fumata nera.

Il governo ha messo sul piatto il credito d'imposta, mentre l'azienda, che non ha ancora trovato un eventuale accordo bilaterale per il prezzo dell'energia, ritiene lo sforzo non sufficiente per riavviare forni e impianti.

I sindacati, sul piede di guerra, chiedono che il governo incontri immediatamente la proprietà Glencore per far emergere con chiarezza le posizioni della multinazionale sul futuro degli stabilimenti sardi.

LAI VS DEIDDA

E la politica litiga, con il botta e risposta tra il deputato Pd Silvio Lai e quello FdI Salvatore Deidda.

«Regione e governo giocano a scaricabarile sulla pelle dei lavoratori di Portovesme. Avendo fallito nella trattativa non trovano di meglio, Solinas, Urso e Bergamotto, che lavarsene le mani e addossare le responsabilità all'azienda che non accetterebbe le condizioni proposte», attacca Lai.

«Non bastano le parole – continua l'esponente dem -. Serve impegnarsi con più concretezza per trovare soluzioni accettabili. Il Governo insieme alla Regione hanno gli strumenti per farlo. Anziché svendere le peculiarità della Regione con l'autonomia differenziata o pensare al Ponte sullo Stretto che mai si farà si diano da fare per restituire certezze a chi le sta perdendo».

«Sono stupito – la replica di Deidda – che Lai difenda Glencore quando potrebbe chiedere all’ex viceministra Alessandra Todde (M5S) le responsabilità della crisi e come siamo arrivati a questo punto. Non si possono scaricare sulla politica e sul Governo le scelte dell'Amministrazione Glencore. Non da oggi, infatti, le stesse scelte sembrano dettate dalla volontà di disimpegnarsi ma senza avere il coraggio di dichiararlo».

(Unioneonline/L)

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