È in rada. Alla larga da Portovesme. A diecimila chilometri in linea d’aria da quella ciminiera che sovrasta come una torre pendente una delle zone industriali più devastate d’Europa. Il nome è tutto un programma: Golar Arctic. Golar sta per Golar LNG Limited, società registrata nei profondi paradisi fiscali delle Bermuda, a due passi dagli Stati Uniti. Di mestiere Tor Olav Trøim, norvegese, presidente della società e Karl Fredrik Staubo, amministratore delegato, anche lui norvegese, affittano, vendono, trasportano, stoccano e rigassificano gas. Arctic, invece, è il nome proprio di una mega nave gasiera, dal richiamo artico, destinata, nei sogni di Draghi & Snam, a solcare gli Oceani per riposarsi sulla sponda est del porto industriale di Portovesme, da sempre crocevia di carbone, bauxite e allumina.

In rada in Malesia

Ieri sera, però, la Golar Arctic stazionava dall’altra parte del mondo, davanti alle coste devastate di Sumatra, a ridosso di Kuala Lumpur, davanti al porto di Malacca in Malesia. Secondo i piani di chi l’ha comprata, la Snam spa, quel colosso dei mari doveva essere trasformata in un FSRU, ovvero unità galleggiante di stoccaggio e rigassificazione. Per la ciclopica cifra di 269 milioni di euro la società dedita al gas di Stato, la Snam, se l’è accaparrata ancor prima che il governo Draghi mettesse a segno il colpo di mano con il quale ha negato alla Sardegna diritti e infrastrutture serie in tema di energia. Come se qualcuno li avesse avvertiti prima, i manager di Snam hanno fatto un blitz, costosissimo, per comprare quella nave da trasformare in un rigassificatore da piazzare alle porte della Sardegna del sud.

Alambicco di gas

Una sorta di “alambicco del gas” per fornire un po’ di energia alla zona industriale di Portovesme, destinata a restare al buio dopo la scellerata idea di spegnere, senza un piano alternativo credibile, la centrale a carbone dell’Enel, senza riconvertirla a gas come stava avvenendo per tutte le altre, prima della guerra, in tutta Italia. Il piano su cui fondare quella sottospecie di metanizzazione da sottosviluppo messa nero su bianco dal governo Draghi, ora, però, rischia di spiaggiarsi clamorosamente nelle secche del porto del Sulcis. Quella che stiamo per raccontarvi è una storia drammaticamente seria che potrebbe, però, tranquillamente essere annoverata nel “cabaret” di Stato. Dopo aver fatto fallire, tra giochi sotterranei e interessi dell’Eni, il progetto del metanodotto tra Algeria-Sardegna-Europa e aver fatto naufragare una dorsale in grado di approvvigionare il metano nell’intera isola, il Governo, su proposta della Snam, aveva pensato di risolvere il tutto piazzando una nave gasiera riconvertita a rigassificatore nella banchina est di Portovesme, quella opposta ai traghetti per San Pietro.

Vogliamo la Est

I progettisti dello sbarco in terra sarda della Golar Arctic sono andati in quella landa industriale e l’hanno scelta senza indugi: «Vogliamo quella est». Nuova di zecca, mai usata. Intonsa, come se stesse aspettando l’arrivo della Snam e della sua mega nave. Peccato che non abbiano fatto i conti con un dettaglio, non di poco conto: le profondità dei fondali di quello specchio acqueo, piazzato proprio davanti ai traghettini che fanno spola ogni ora, quando va bene, tra Portoscuso e Carloforte. Quando arrivi sul posto ti accoglie un cancello arrugginito dal tempo che passa. È lì che ti accorgi che quella banchina è, teoricamente, pronta all’uso. Dal 2005 quelle bitte mai usate attendono le cime di navi possenti in grado di dare un minimo di futuro ad un porto segnato dal tracollo industriale degli ultimi 20 anni. Lì, in realtà, tutt’al più, si può ormeggiare un motoscafo, niente di più invasivo. La collina sottomarina che vieta ad una nave “seria” di avvicinarsi è segnata nelle batimetriche che mettono fuori uso, senza se e senza ma, quella banchina. La società Dravo S.A. l’ha lasciata così nel 2005, senza realizzare l’escavo di quel tratto di mare racchiuso nel porto del Sulcis. In sostanza c’è il pontile-banchina dove attraccare, peccato, però, che nessuna nave si possa avvicinare.

Fondali vietati

I fondali sono vietati, la batimetrica dove i signori della Snam avrebbero voluto posizionare la loro gasiera-rigassificatore, sono inaccessibili. Nessuna nave si potrebbe mai avvicinare senza arenarsi in mezzo al porto, visto che nel bel mezzo di quello specchio acqueo si erge una vera e propria montagna di detriti, di inquinamento tossico e nocivo. Per essere più precisi sarebbe come infilarsi in un sistema collinare sommerso, con il punto più profondo a meno 11,50 metri sul livello del mare e quello più alto a meno tre metri. Peccato che quelle montagne russe sottomarine da appena due-tre metri di profondità siano posizionate proprio al centro del porto rendendo impossibile a qualsiasi nave anche solo avvicinarsi a quella banchina.

Slalom subacqueo vietato

Ipotizzare un slalom in porto per una nave, come la Golar Arctic, di 291 metri di lunghezza, è semplicemente demenziale. La sintesi è da brivido: quella nave da 269 milioni di euro in quel porto non può entrare. Roba che se la racconti rischi un trattamento sanitario obbligatorio. E, invece, è tutto drammaticamente vero. Certo, qualcuno avrà magari pensato che quel tratto di mare, prima o poi, si potrà svuotare. In teoria si può fare. L’operazione è chiamata tecnicamente “escavo”. Prima di considerare quello svuotamento del fondale un gioco da ragazzi, forse, però, sarebbe stato meglio leggersi le carte, studiare i problemi ed evitare di pianificare il futuro energetico di una Regione da un milione e mezzo di abitanti con tanta superficialità.

Storia scritta

Non sarebbe stato difficile ricostruire la storia di quel porto e prevedere il fallimento di quella sorta di metanizzazione “da poveri” che il governo Draghi stava imponendo alla Sardegna. Il primo capitolo risale al 2005. L’impresa realizza la banchina est, ma entra in guerra con la stazione appaltante prima di iniziare l’escavo del porto. Finisce con un contenzioso legale, ancora in alto mare. Siamo al 2012. Con il fantomatico e per molti versi fallimentare «Piano Sulcis» vengono stanziati ulteriori 13 milioni di euro per svuotare i fondali di terre e fango. L’apertura delle buste è fissata per le ore 10 del 18 luglio del 2016. L’appalto è ormai entrato nel suo settimo anno e di quell’opera non c’è alcuna traccia. Vince l’impresa Vittadello di Limena, in provincia di Padova. Non proprio l’ultima arrivata, anzi. Gli scambi epistolari a suon di avvocati sono un’antologia da lavori pubblici, con tanto di “riserve” che certamente non fanno intravvedere l’arcobaleno sul proscenio violentato di questo lembo di Sardegna. Erano previsti 683 giorni di lavori. Ne sono passati 2.200 e i fondali sono sempre gli stessi, forse peggiorati. I rumors del Consorzio industriale di Portovesme parlano senza mezzi termini di contratto in fase di rescissione. Dunque, la Golar Arctic in quel porto non può in alcun modo entrare. I tempi previsti da Snam per la messa in funzione del rigassificatore sono fantasie allo stato puro, visto che nel piano si parla del 2022-2023. Se si riuscisse mai a sbloccare l’escavo di quel primo lotto sorgerebbe immediatamente dopo il tema delle condizioni meteo-marine per l’ingresso in porto delle navi gasiere, quelle destinate ad approvvigionare il rigassificatore. Anche in questo caso è richiesta una profondità minima necessaria di 11,96 metri, profondità che si infrange con la realtà dei fatti: la batimetria minima calcolata anche dopo un ipotetico post-dragaggio sarebbe di 11,50 metri.

Fruibilità teorica

Non è un caso che nello studio della Snam il tema è affrontato con parole circospette e non proprio convincenti, definendo la fruibilità portuale “teorica”. Di certo, con questo misfatto, il piano di Draghi e Snam è destinato a subire una pesantissima battuta d’arresto: anche usando parametri ottimistici, quell’intervento, se mai venisse autorizzato, avrebbe la possibilità, forse, di essere realizzato non prima del 2028-2029. A tempo scaduto, con la Sardegna senza più energia, visto che il piano di Cingolani & company prevede la chiusura delle due termocentrali sarde entro il 2025. Resta da capire che ne sarà della Golar Arctic, costata la bellezza di 269 milioni di euro, tanto grande e inutile, visto che in quel porto del Sulcis non riuscirà ad entrare.

Cala la maschera

Su questa storia, però, si affacciano tante ombre e retroscena inquietanti che riguardano un progetto imposto dall’alto, ignorando norme, piani regolatori e persino il disastro ambientale che si cela in quell’area. Un piano scellerato che si sta rivelando giorno dopo giorno sempre più confuso e inattuabile, smascherando in modo indelebile i contenuti di quel decreto che il Governo Draghi ha imposto alla Sardegna per trasformarla senza pudore in una colonia energetica dell’Italia. Ora si rischia di finire dritti dritti su una secca infinita di veleni. Veleni in tutti i sensi.

(1.continua)

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