Dazi al 15% sul pecorino, la grande beffa
Maoddi (Consorzio di tutela): «È un’ingiustizia, ma speriamo ancora in un’esenzione»Per restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Un colpo duro, ma non certo da ko. I nuovi dazi al 15% decisi da Donald Trump sulle esportazioni di pecorino negli Stati Uniti peseranno di certo sul mercato di un formaggio sardo che vende oltreoceano circa il 40% della produzione totale. Dietro il danno, tuttavia, è arrivata anche la beffa visto che le tariffe uniche per l’agroalimentare italiano avvantaggeranno paradossalmente altri formaggi, come il Parmigiano Reggiano o il Grana Padano che prima scontavano un balzello alla frontiera del 25%.
Ottimismo
«È un’ingiustizia, ma non è comunque il momento di farsi prendere dal panico», dice Gianni Maoddi, presidente del Consorzio di tutela del Pecorino Romano, punta di diamante dell’export sardo nel mondo. «Il destino del nostro formaggio non è però ancora segnato e c’è ancora tempo per trattare su un’esenzione totale». Maoddi non affida questa speranza al vento, ma a precedenti importanti. «Già nella passata legislatura, il governo Trump aveva depennato il pecorino dalla lista dei prodotti da tassare. L’ipotesi che lo faccia anche questa volta è quindi più che realistica».
Concorrenza
Il settore lattiero-caseario sardo parte quindi da presupposti solidi per confidare in una soluzione in tempi brevi. «Il motivo per cui il pecorino è sempre stato esonerato da tariffe doganali deriva dal fatto che la materia prima, il latte di pecora, non genera concorrenza con i mercati interni statunitensi. Discorso diverso invece per latte di mucca, con cui si fa Grana e Parmigiano, quest’ultimo prodotto anche in America».
Insomma, Maoddi è convinto che potrebbe essere solo questione di tempo: «Non credo che ci sia dietro una strategia per danneggiare il nostro comparto. Siamo solo rimasti coinvolti in una politica commerciale che non ha ancora distinto le varie tipologie di prodotti, ma che ha però tutto l’interesse a farlo».
Conseguenze
I calcoli sui futuri danni sono già fatti. «Per un mercato che vale negli Stati Uniti 170 milioni di euro annui, i dazi peseranno sui prezzi per circa 25 milioni di euro. Ma solo il tempo ci farà capire che effetti avrà. Penso che a essere più penalizzate saranno paradossalmente le aziende americane che trasformano il pecorino nell’industria dell’alimentazione. Potrebbero quindi sostituirlo nelle preparazioni con altri formaggi meno costosi, diminuirne la quantità o scaricare i rincari sul consumatore».
In ogni caso, assicura Maoddi, «non sarà una passeggiata». Ecco perché la filiera si sta muovendo su più fronti per attenuare il colpo. «Domenica ho scritto al ministro dell’Agricoltura per chiedere conferme su una possibile esenzione del pecorino dai dazi. Il governo per ora cerca di non sbilanciarsi ma sta concretamente lavorando perché alcuni prodotti escano dalle liste doganali. Nel frattempo stiamo confrontandoci anche con la Regione e soprattutto con i nostri soci affinché capiscano che questo è il momento di stare uniti e non lasciarsi convincere ad abbassare i prezzi per compensare i dazi. Una svalutazione del pecorino sarebbe il danno peggiore che si potrebbe fare all’intero comparto».
Luca Mascia