Sono le 22:39 di una sera d'ottobre quando un boato risuona nella valle del Piave al confine tra Veneto e Friuli, dove scorre il torrente Vajont: una frana di 270 milioni di metri cubi si stacca dal monte Toc e precipita nel bacino artificiale idroelettrico costruito solo pochi anni prima, provocando un'onda che supera il muro della diga e si abbatte sugli abitanti dei comuni di Longarone, Castellavazzo, Codissago e delle frazioni di Erto e Casso.

Paesi che saranno spazzati dalla furia dell'acqua, con una violenza d'urto paragonata a quella di due bombe atomiche, portandosi via quasi 2mila anime sorprese nel sonno e senza alcuna possibilità di scampo. L'indomani, alle prime luci dell'alba, ai soccorritori e alla stampa si presenterà uno scenario spettrale: l'intero alveo del fiume è una distesa silenziosa di detriti e cadaveri.

Lo scenario della valle del Piave nei giorni dopo il disastro del Vajont
Lo scenario della valle del Piave nei giorni dopo il disastro del Vajont
Lo scenario della valle del Piave nei giorni dopo il disastro del Vajont

LA DIGA DELLA DISCORDIA - All'origine della tragedia la diga costruita tra il 1957 e il 1960 dalla società SADE e poi passata sotto il controllo dell'ENEL, nonostante le perizie tecniche che segnalavano il rischio di frane e le tante segnalazioni degli abitanti del posto, abituati a guardare con diffidenza a quel monte Toc, che in friulano significa "guasto, rotto" proprio per via della sua franosità.

Nei giorni precedenti la tragedia alla diga era in corso una prova di invaso, con il livello del bacino d'acqua portato a 700 metri. Lo stesso direttore dei lavori della Sade ingegner Biadene invierà la mattina del 9 ottobre un messaggio preoccupato al capocantiere chiedendogli di rientrare in anticipo dalle ferie, ma senza diramare un vero e proprio allarme alle comunità dei centro a fondo valle.

La responsabilità della SADE, la ditta costruttrice, sarà poi al centro delle polemiche fin dal mattino successivo al disastro, con l'accusa di non aver tenuto conto delle segnalazioni di scienziati e tecnici sulla non idoneità dei versanti del bacino e di aver riempito l'alveo oltre i limiti massimi, nonostante ci fossero già state avvisaglie di frane dal monte Toc.

Detriti e macerie nell'alveo del torrente Vajont
Detriti e macerie nell'alveo del torrente Vajont
Detriti e macerie nell'alveo del torrente Vajont

IL PROCESSO - Ci vorranno sette anni di dibattimenti per la sentenza della Corte di Cassazione che riconosce l'ingegnere Biadene e Francesco Sensidoni (a capo del servizio dighe del ministero dei Lavori Pubblici) colpevoli di strage aggravata per non aver dato in tempo l'allarme alla popolazione del posto e per aver coperto i dati a loro conoscenza sulla pericolosità della diga, confermando così la prevedibilità dell'evento.

Mentre Enel e Montedison, che poco prima del disastro erano subentrati alla Sade, saranno condannate al risarcimento dei danni, anche se i contenziosi si protrarranno fino al 2000.

Intanto, i familiari delle vittime arrivati in tutta fretta nei giorni successivi alla tragedia dall'Italia e dall'estero non riescono nemmeno a individuare dove si trovavano le proprie case, mentre si lavora senza sosta alla ricerca delle salme trasportate dalla corrente a km di distanza dai paesi devastati.

Tra i superstiti saranno in molti a decidere di abbandonare il territorio, mentre paesi come Longarone verranno ricostruiti a tempo record e la diga - rimasta intatta durante la frana e l'esondazione - rimarrà a perenne memoria di questo disastro annunciato.

(Redazione Online/b.m.)

Una panoramica della valle dopo il disastro
Una panoramica della valle dopo il disastro
Una panoramica della valle dopo il disastro
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