#Un classico da ri-leggere: Il dottor Zivago, capolavoro senza tempo
Pochi libri vantano una vicenda editoriale complessa e avventurosa come Il dottor Živago.
Fu, infatti, l’unico romanzo scritto da Boris Pasternak (1890-1960) che si vide rifiutata la pubblicazione in patria perché il libro venne considerato reazionario e ostile al Partito comunista al potere in Unione Sovietica. La prima edizione mondiale si ebbe così nel 1957 in Italia, per opera di Gian Giacomo Feltrinelli che era riuscito a ottenere il manoscritto del romanzo in maniera rocambolesca, sfuggendo ai controlli delle autorità sovietiche.
Il resto lo sappiamo un po’ tutti: Il dottor Živago divenne ben presto un caso editoriale internazionale e Pasternak ottenne il premio Nobel per la letteratura nel 1958, che decise di rifiutare perché consapevole che se si fosse recato a ritirarlo non avrebbe più potuto ritornare in patria.
Poi il libro e soprattutto la storia d’amore tra Živago e Lara sono entrati definitivamente nell’immaginario collettivo grazie al kolossal hollywoodiano uscito nelle sale nel 1965, un film di grande successo ma abbastanza lontano dallo spirito e dalla complessità letteraria e linguistica del capolavoro di Pasternak. Per ritrovare questi caratteri originari del romanzo, oggi Il dottor Živago è disponibile in una nuova e curatissima traduzione (Feltrinelli, 2017, Euro 19, pp. 640. Anche EBook), costata ben due anni di lavoro a Serena Prina. A lei chiediamo, prima di tutto, di raccontarci cosa significhi tradurre un classico come Živago:
"Nella mia carriera di traduttrice mi sono sempre occupata di classici, di libri quindi che avevano già una traduzione precedente. Il dottor Živago, però, è un caso molto particolare. Se oggi noi possiamo leggere il romanzo, infatti, buona parte del merito va a un grande esperto di letteratura russa come Pietro Zveteremich che si batté molto con Feltrinelli perché lo pubblicasse e fu il primo traduttore del libro. Zveteremich, però, fu costretto a lavorare molto in fretta perché Feltrinelli voleva a tutti i costi battere sul tempo la concorrenza e fare uscire il libro per primo. Zveteremich, con suo grande dispiacere, non poté curare come avrebbe voluto la traduzione, che passò poi nelle mani di altri traduttori e redattori negli anni successivi. Il risultato è che nel romanzo si erano sovrapposte troppe mani e troppi interventi e la traduzione era diventata, a mio parere, troppo limata, tirata a lucido. Lontana, quindi, dall’intento originario di Pasternak. A differenza di Zveteremich io ho avuto due anni di tempo per tradurre il libro e la mia traduzione ha avuto un solo passaggio redazionale. Questo mi ha consentito di mantenere un’adesione a quello che era, secondo me, il progetto segreto di Pasternak in questo libro".
Qual era il progetto di Pasternak?
"Naturalmente il libro ci racconta prima di tutto le vicende della generazione di Pasternak, donne e uomini russi nati alla fine dell’Ottocento e che avevano vissuto il passaggio epocale della Rivoluzione d’Ottobre, gli anni dello stalinismo, per arrivare alla Seconda guerra mondiale. Poi c’è la meravigliosa storia d’amore tra Jurii e Lara. Però Pasternak era soprattutto un poeta ed era interessato all’evoluzione della lingua russa. Il suo romanzo, per come è stato scritto, è una sorta di storia della lingua russa".
In che modo Pasternak racconta questa storia?
"Per esempio all’inizio del romanzo usa una lingua antichissima, quasi un canto religioso ortodosso. Poi c’è la lingua dei grandi narratori russi dell’Ottocento come Gogol oppure Tolstoj. Quindi nel romanzo troviamo la lingua sovietica, asettica, fatta di sigle, slogan che all’inizio affascina anche Živago e che poi lo delude. Ne capisce la vuotezza e a un certo punto, nella seconda parte del romanzo, la lingua diventa ostica, il testo non scorre più. Živago arriva a una sorta di afasia, non parla più. Alla fine del libro, a riprendere a parlare, a recuperare la voglia di raccontare sarà la figlia di Živago, ma non userà più come il padre una lingua letteraria, ma la lingua del popolo, una lingua originaria che riesce a essere viva, mentre la lingua della demagogia, della propaganda e della politica sovietica non lo è più. Pasternak sembra quindi sperare che la lingua russa vada verso le sue origini per ritornare viva ed è questo il motivo segreto per cui il libro è stato scritto, il messaggio principale che esso cela. Non certo a caso in russo Živago deriva dall’aggettivo 'vivo' e significa 'colui che è in vita'".
Due anni in compagnia di Pasternak e di Živago che cosa le hanno regalato?
"Tantissimo. Pasternak è per me un autore di narrativa ma sicuramente è stato più un poeta, un poeta che bisogna lasciar entrare dentro di noi perché regala tantissimo. Lavorare sulla sua opera è stato davvero un privilegio perché è un libro che rende migliori le persone che lo leggono. Sono stata fortunata anche se è stato un lavoro durissimo".
Ci sono stati momenti in cui non ne ha potuto più di Živago?
"No, non fino a questo punto, però ammetto che la parte finale, quella dove sono riportate le poesie di Živago, la attendevo come un vero incubo. Un incubo perché a mio parere tradurre la poesia è quasi impossibile. In questo caso si avverte la grandezza del testo poetico di Pasternak e l’impossibilità di renderla completamente. Ne puoi rendere solo una minima parte in traduzione e questo è un vero tormento per un traduttore".
Il dottor Živago è stato scritto più di sessant’anni fa, in un’epoca diversa, quella della Guerra fredda e dello scontro tra Usa e Urss. In che cosa è rimasto attualissimo?
"Nel modo di raccontare la storia della Russia e soprattutto di raccontarci il complicato rapporto tra Russia e Occidente. Un rapporto cominciato in maniera conflittuale già ai tempi dello zar Pietro il Grande tra fine Seicento e Settecento e che si è protratto per secoli dividendo gli intellettuali russi in slavofili e occidentalisti. 'Ci si doveva aprire verso Occidente oppure rivolgersi all’interno?': questa era la domanda che ci si poneva e che ancora ci si pone in Russia. Una domanda che è una chiave interpretativa attualissima anche per capire in che modo la politica russa si ponga ancora oggi. Pasternak si trova di fronte alla domanda precedente e risponde da poeta. Dove deve andare la lingua russa? Deve tornare alle origini, alle sue radici è la risposta che troviamo in Živago. Insomma Il dottor Živago ci può aiutare a comprendere un paese così enigmatico per la stragrande maggioranza degli occidentali. Un paese che orgogliosamente rivendica una sua differenza rispetto all’Occidente e lo fa attuando dei comportamenti perfettamente in linea con la tradizione russa degli ultimi tre secoli ma incomprensibili per noi europei".