Soccavo, Napoli, anni Novanta del secolo scorso. Marocco ha quattordici anni, ha dalla sua la forza e l'energia della gioventù, ma è oppresso da una rabbia sorda, che segna le sue giornate e le sue scelte. Vive con il padre, la madre è scomparsa da anni e questo abbandono è una ferita aperta, che non dà pace. A scuola le cose non vanno bene e neppure gli allenamenti e le partite con la sua squadra di calcio riescono a placare il rancore che prova nei confronti della vita e il senso di vuoto che si porta dentro. Quasi contemporaneamente però accadono due fatti che hanno la forza di cambiare la vita e di segnare il destino di una persona. Marocco conosce Serena, che gli porta in dote l’amore, il primo, acerbo e magnifico. E un amico, Lunno, lo coinvolge in alcuni traffici che consentono al giovane di uscire dall’anonimato, di guadagnare senza fatica e allo stesso tempo di sentirsi padrone della propria vita.

Ma le cose non possono essere così semplici e lineari per Marocco come scopriamo leggendo Giovanissimi (NN Editore, 2020, pp. 224, anche e-book) di Alessio Forgione.

All'autore di questo intenso romanzo chiediamo come prima cosa quanto c'è di autobiografico nelle vicende raccontate nel libro:

"Di sicuro tanto, ma non tutto. Anche io, come Marocco, sono cresciuto a Soccavo e ho giocato a calcio per la squadra del quartiere e frequentato il liceo scientifico, ma la mia famiglia, a differenza della sua, per dire una differenza sostanziale, è sempre stata molto unita. È che in qualsiasi libro, da qualche parte, c’è inevitabilmente un pezzo, piccolo o grande, del suo autore. Inoltre, dopo anni passati a rileggere quello che si è scritto ci si confonde, si confondono i piani, cosa è accaduto davvero con cosa è stato inventato, e così, per non mentire, e per dare una risposta quasi sensata, dico il 73%, che è un numero a caso o forse no".

Marocco si confronta con suoi coetanei ma ancora più interessanti sono forse i rapporti con gli adulti che lo circondano: il padre, l’allenatore, la professoressa di Latino... perché questi "grandi", pur presenti, paiono non riuscire a essere degli esempi da imitare per il ragazzo?

"Il mondo dei 'grandi' è distante anni luce dal suo. Con la professoressa non c'è nessun punto di contatto, ma solo reciproco disprezzo. Con il padre e con il Mister, invece, due figure genitoriali a tutti gli effetti, c’è un dialogo, anche se molto difficile, che parte duro, con le maniere forti, e poi s'ammorbidisce; ma questa è una caratteristica di tutto il romanzo, quella di ammorbidirsi a poco a poco".

Ma è proprio impossibile un dialogo tra i due mondi, quello degli adulti e quello dei ragazzi?

"Il mondo dei 'grandi' non è il mondo dei ragazzi. Il mondo dei ragazzi è il paese dei balocchi, dove sei solo ed esplori e spesso finisci per farti male. Certo, i 'grandi' consigliano, pretendono l'obbedienza, ma quale adolescente è ubbidiente? Tutti impariamo a nostre spese, nella vita. E i consigli sono utili e belli solo quando richiesti. Detto questo, il rapporto tra Marocco e il padre si modifica e, da un certo punto in poi, c’è una certa silenziosa complicità. E di sicuro c’è sempre un profondo amore".

Nel libro Marocco gioca spesso a calcio ma non pare divertirsi molto neppure in questa attività in cui pure eccelle. Ma cosa rappresenta il calcio per Marocco?

"È vero: non si diverte col calcio. Infatti, non ci parla mai, per esempio, della sua squadra preferita o del suo calciatore preferito, perché il calcio, così come la scuola, semplicemente occupa le sue giornate, senza, di fatto, riempirle. Non ritengo il calcio un tema di Giovanissimi. Anzi, sono abbastanza certo che lo sport non c’entri assolutamente nulla con questa storia. Marocco gioca perché è naturale che lo faccia, perché tutti i ragazzini di questo mondo, di qualsiasi sua periferia, giocano a calcio e forse è soprattutto per questo che il calcio per Marocco non conta nulla. Ma ha delle passioni, questo sì. Per i fumetti di Dylan Dog e per i fenomeni paranormali, di cui ci parla e s’interroga, perché quelli sono un buon modo per lasciare il quartiere e ampliare i suoi orizzonti, circoscritti ai palazzoni che creano quasi una vera e propria barriera".

Cosa manca a Marocco per affrontare la vita con meno rabbia e con più speranza?

"Tutto. O forse è semplicemente fatto così. C’è della rabbia, dell’insoddisfazione dettata dal girare a vuoto, senza una traiettoria precisa, e mi sembra, questa, una cosa abbastanza fisiologica: Marocco ha quattordici anni, come potrebbe avere una qualsiasi traiettoria? Ma poi chi, a questo mondo, ha una traiettoria? Ma non c’è solo rabbia, in lui. Di sicuro all’inizio del romanzo è la sua caratteristica più evidente ma con il procedere della storia ne saltano fuori molte altre. È un ragazzo ferito, aggressivo, sconclusionato, timido, gentile, dolce e buono, buono come il pane e però, nonostante questi aggettivi, non voglio giudicarlo e non voglio nemmeno comprenderlo. Preferisco osservarlo, perché mi fido, e stupirmi dei suoi gesti e delle sue azioni. Marocco non è mai in cattiva fede e allora va tutto bene, perché anche quando sbaglia lo fa col cuore".

Veramente la vita è una costante attesa come scrive nell'ultima parte del libro?

"Sì. A me così sembra".
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