Capita, a volte, di trasferirsi in un posto che non conosci e che non volevi conoscere. Capita proprio questo a Simone, che si trova a settembre in un paesino deserto, un San Qualcosa in cui dovrà frequentare le scuole superiori, con un padre che è sempre al lavoro. Simone si è lasciato indietro una mamma e un fratello, e deve essere successo qualcosa di grave; Simone ha dei brutti pensieri, ma non li dice, li tiene a bada camminando e inventando. Così Simone decide di dedicare la settimana che manca all’inizio della scuola a scoprire San Qualcosa: lo esplora, di giorno in giorno, come se fosse il bosco attraversato da Hansel e Gretel, o un posto da studiare con occhi animali come Zanna Bianca, o da percorrere con i passi da gigante del GGG, il Grande Gigante Gentile. E ogni volta, al centro del paese, incontra Sara, che sarà la sua mappa del tesoro.

Brillante e allo stesso tempo delicato, “Ti aspetto a San Qualcosa” (Camelozampa, 2023, pp. 112, disponibile con carattere ad alta leggibilità per tutti) è un romanzo breve sulla difficoltà di confrontarsi con il mondo dei grandi e sulla complessità del diventare grandi, senza perdere la magia dell’infanzia.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

All’autore, Beniamino Sidoti, chiediamo prima di tutto: quale è stato lo spunto di partenza?

«Per lavoro giro molto, e mi capita spesso di vedere dei paesi piccoli, dei quartieri anonimi, e di provare a immaginarmi la vita che nascondono. Una volta, in particolare, stavo indossando degli auricolari e ascoltando musica: immediatamente quello che vedevo era diventato un film o un videoclip, la cui colonna sonora era dentro la mia playlist. Così mi sono reso conto di una cosa: quando siamo in un posto nuovo abbiamo la possibilità di viverlo come qualcosa che conosciamo, e ho iniziato a pensare. Presto è venuta fuori una storia e un ragazzo, Simone, trasferito da poco. Ho pensato al suo disagio e ho immaginato fosse lì da solo, in un paese nuovo, un San Qualcosa qualunque; poi sono arrivate le domande: perché è da solo? Dove è sua mamma? Dove sta suo fratello?».

Simone come vive il trasferimento nel nuovo Paese?

«Siccome è Simone che racconta, scopriamo quello che lui vede, e non sappiamo quello che sta cercando di nascondersi, di non raccontare. Simone ha paura. Simone decide di non collaborare: ma non può essere arrabbiato con suo papà, come a volte ci capita. Un po' perché non ne ha colpa, il papà; un po' perché Simone ha così tanto bisogno di lui che non può arrabbiarsi. Allora si arrabbia con il paese: e lo chiama San Qualcosa, San Paesino, Questo e quell'altro... Però non è sciocco, e un po' si annoia: allora decide di conoscere quel paese, e ha un'idea. Esplorerà il paese come se fosse qualcosa che già conosce, una delle storie che ha letto o ascoltato, e ogni giorno farà un'esplorazione fingendo che San Qualcosa sia un bosco o una foresta, o un posto pieno di uccellini arrabbiati». 

Da dove parte questa esplorazione di Simone?

«La prima esplorazione la fa a partire da Hansel e Gretel: certo, Simone ha undici anni, e quindi sarebbe grande. Ma dentro Hansel e Gretel ci sono proprio dei genitori che abbandonano i figli: e allora è una fiaba giusta da cui ripartire. Così cammina per la strada, e finge sia un sentiero; trova una piazza e finge sia una radura. Poi nella piazza conosce una ragazzina, Sara: e fa finta che sia Gretel. Così insieme potranno cercare tutto: la loro amicizia all'inizio è un gioco, poi una relazione importante, come accade quando diventiamo grandi».

Quali paure crescono in lui durante le sue avventure?

«Ci sono alcune paure nuove, quelle di un posto che non conosci: ma leggendo il libro scopriamo che le paure più paurose sono quelle che Simone si porta dietro dalla città da cui viene. Ha paura che i genitori non lo considerino; ha paura che il fratello stia male o peggio. Ha così paura che fa fatica a dirselo, figuriamoci se riesce a raccontarlo a qualcun'altro. Però piano piano riesce a dirlo a Sara: la conoscenza guarisce, l'amore guarisce, e Simone affronta le sue paure». 

E gli adulti lo riescono ad aiutare?

«L’aiuto viene principalmente da Sara, perché è la persona che in quel momento è lì per sbloccarlo, per accompagnarlo fuori, nel mondo reale. Ma noi lettori adulti capiamo che ci sono anche tutti gli adulti che stanno dietro: i genitori, gli insegnanti, i dottori... e, se vogliamo, anche le autrici e gli autori di tutte le storie che lo stanno nutrendo».

In che modo le fiabe di un tempo hanno ispirato il suo libro?

«C'è una definizione molto bella della fiaba: Italo Calvino dice che le fiabe ‘raccontano destini’. È anche il titolo di un bel saggio a cura di Carla Ida Salviati: Raccontare destini. Cioè, dentro le fiabe non ci sono personaggi ‘reali’ o destini individuali, ma tutte le nostre possibilità, come nelle leggende o nella mitologia: se in una fiaba qualcosa capita a una principessa, tutti noi (maschi e femmine e altro) possiamo essere quella principessa, che non è una persona, ma il momento in cui cresciamo, in cui diventiamo grandi. Così ogni tesoro e ogni matrimonio delle fiabe parla anzitutto dei nuovi regni che riusciamo a schiudere. Ecco: in ‘Ti aspetto a San Qualcosa’ c'è questo: Simone gioca con le storie e anche grazie a questo riesce ad affrontare il suo destino e a diventare Qualcuno. O San Qualcuno?».

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