“La notizia che irrompe nel maggio 1980 è uno choc per il paese: il brigatista pentito Patrizio Peci rivela, tra le altre cose, che ai vertici di Prima linea c’è anche Marco Donat-Cattin, figlio dell’allora vicesegretario della Dc, cioè del partito che in pratica governa la Repubblica fin dalla sua nascita. Poi, nel giro di pochi giorni, proprio mentre Marco, che milita ai vertici di ‘Prima Linea’, è accusato dell’omicidio del magistrato Emilio Alessandrini, il caso deflagra”.

Monica Galfré, docente di Storia Contemporanea all'Università di Firenze, fa luce nel libro “Il figlio terrorista” (Einaudi, pag. 273, 18.50 euro) su una vicenda politica e familiare che si inserisce nel quadro di una stagione di lutti e tragedie individuali e collettive.

Monica Galfré (foto Rais)
Monica Galfré (foto Rais)
Monica Galfré (foto Rais)

Nasce uno scandalo politico. Uno dei più gravi della storia repubblicana.

“A essere chiamato in causa è niente meno che il presidente del Consiglio Francesco Cossiga, accusato di aver trasferito informazioni riservate a Donat-Cattin, che in quel momento è vicesegretario del suo stesso partito, favorendo così la fuga del figlio. A questo si assomma subito un insieme di elementi e circostanze inquietanti che trasforma la vicenda in una vera e propria spy story. Nell’anno più duro dell’attacco eversivo, a soli due anni dal rapimento e dall’omicidio di Aldo Moro, la notizia che uno dei padri della Repubblica sia anche il padre di un terrorista è una notizia clamorosa. I protagonisti principali di questa vicenda passano tutti al vaglio della giustizia. Marco, che subito dopo la cattura decide di collaborare, subisce una serie infinita di processi”.

Chi è Marco Donat-Cattin?

“Marco, nato nel 1953, è l’ultimo dei suoi quattro figli e da tempo ha rotto i rapporti con la famiglia, salvo contatti saltuari con la madre e la sorella.  Incarna il protagonismo di una generazione ribelle che si illude di avere il mondo in mano, pur nella oscura percezione di poggiare sulle sabbie mobili”.

Il libro
Il libro
Il libro

Il rapporto tra Carlo Donat-Cattin e Francesco Cossiga è centrale nel libro.

“I due appaiono legati da profondi vincoli di militanza e di amicizia. Cossiga ha in seguito ammesso di aver commesso delle leggerezze dovute a un insieme di motivi diversi. Nella sua decisione (certamente sbagliata in un presidente del Consiglio) di informare Donat-Cattin della posizione del figlio, vi incide il fatto che in quel momento ancora non si sa di cosa è colpevole Marco, le rivelazioni di Peci sono del resto molto criptiche. In sostanza l’atteggiamento di Cossiga, pur istituzionalmente sbagliato, appare più comprensibile da un punto di vista umano”.

Il Pci come si comporta?

“Sembra che all’interno della direzione del Pci si levi qualche voce a difesa di Cossiga. A mostrarsi irremovibile è comunque Berlinguer in persona, il quale organizza una cena a casa di Pecchioli per mettere alle strette Cossiga. ‘Bene, non ti vuoi dimettere? Ma allora prendi le distanze da Donat-Cattin e spieghi che il padre di un terrorista non può fare il vicesegretario del partito’. E Cossiga: ‘Enri’, siamo uomini di partito tutti e due, vaffa**ulo!’”.

C'è un senso di rabbia e rimpianto. Quella di Marco Donat-Cattin poteva essere la migliore generazione.

“È un discorso molto difficile da fare, per vari motivi.  In fondo ciò che più mi colpisce nella tragedia degli anni di piombo, una domanda alla quale non riesco a dare una risposta, è il contrasto tra la vitalità di questi giovani e l’esito tragico dei loro progetti, tra vita e morte, che nel terrorismo si contrappongono con estrema e irriducibile drammaticità”.

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