Storia di Entropia, che aspetta ancora il riscatto
Oggi in edicola con L’Unione Sarda “Buongiorno SarDegna”, il libro firmato da Sergio Zuncheddu
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“BuongiornoSarDegna” è il titolo del libro scritto da Sergio Zuncheddu, editore di questo giornale, oggi in edicola con L’Unione Sarda. Nelle righe che seguono pubblichiamo un’anticipazione del volume con la nota firmata dall’autore e il paragrafo introduttivo.
Nota dell’autore
“Mi trassi in disparte, non essendomi mai piaciuta la parte di comparsa e perché rifuggii sempre da ogni forma di esibizionismo, anche quando…”. Sono parole di Francesco Cocco Ortu, fondatore nel 1889 de L’Unione Sarda, nelle quali mi ritrovo pienamente. E sono il motivo per il quale ho firmato con lo pseudonimo Giuseppi dei Nur la prima edizione di Buongiorno SarDegna, pubblicata dal giornale otto anni fa.
Essere editore del quotidiano da sempre più diffuso nell’Isola comporta, col privilegio di informare i lettori affezionati, anche la responsabilità morale di aiutarli a fare luce sulle cause di povertà e disagio diffusi in gran parte della popolazione sarda. E di proporre possibili rimedi, con l’umiltà di chi sa di esporre solo uno della miriade di punti di vista esprimibili sulle questioni sarde.Come forse avrebbe fatto, mi piace pensare, il fondatore del giornale. Per questo firmo il libro.
Ho deciso di aggiornare e integrare i contenuti della prima edizione per l’irrompere nello scenario mondiale, negli ultimi anni, di temi che stanno modificando modi di produzione e stili di vita e di consumo a livello planetario. Anche la Sardegna ne sarà influenzata e condizionata, per gli effetti economici e sociali rilevanti su cittadini, imprese e generazioni future.
Ambiente, sostenibilità, transizione ecologica ed energetica, economia circolare, rivoluzione digitale, intelligenza artificiale e robotica, fattori ESG sono i nuovi contenuti trattati,nell’intento di aggiornare la visione di come potrà essere la Sardegna a metà del secolo, fra trent’anni, tenuto conto dei cambiamenti e delle opportunità che si presenteranno. Opportunità da non perdere, ancora una volta, come accaduto nel passato.
Ho anche colto l’occasione per valorizzare meglio i contenuti, sempre attuali, della prima edizione, semplificando e asciugando la scrittura col fine di rendere più fluida la lettura, senza nulla togliere al nocciolo delle questioni affrontate e, ritengo, meritevoli di essere riproposte.
Ho anche aggiornato gli indicatori sullo stato dell’economia isolana che, benché ricca di potenzialità, presenta ancora oggi reddito pro capite basso e tasso di disoccupazione alto rispetto alle regioni del Nord Italia, nonostante esprima, come quelle, braccia laboriose e giovani intelligenti e preparati». (...)
Sergio Zuncheddu
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PRELUDIO
La Fantarealtà
IL PAESE CHIAMATO ENTROPIA. C’era una volta un paesino chiamato Entropia, un nome così singolare che pochi ne conoscevano l’origine, né gli abitanti del paese si curavano della provenienza di quel nome o della sua storia millenaria, acqua passata della quale non valeva la pena occuparsi. La comunità era indaffarata in cose considerate più importanti e non trovava il tempo – e neanche la voglia – di curarsi del passato vicino e lontano e del tempo futuro. Viveva alla giornata, in relativa comodità e apparente benessere.
Così stavano le cose.
Eppure era quello un grazioso paesino, con un territorio grande per l’esiguo numero di abitanti, fertile e ricco di risorse naturali e di gente perbene, con le ovvie eccezioni.
Al paesino si accedeva via mare, detto Mannu per la ragguardevole estensione. Per il clima mite, la bellezza della natura e i sapori dei prodotti della terra, gli abitanti dei Paesi né Vicini né Lontani dell’altra sponda, anch’essi della comunità nazionale, ambivano a venirci per godere di quella meravigliosa Terra.
Poiché il paesino chiamato Entropia era isolato dal mondo, eccezion fatta per gli instabili collegamenti con l’altra sponda, per benevolenza o per convenienza fu collocato un tubo in entrata dove si facevano passare discrete quantità di denaro affinché gli abitanti potessero migliorare le condizioni di vita e stare al passo con i tempi. Il presupposto era che avrebbe dovuto essere installato anche un tubo in uscita collegato al sistema produttivo locale, che avrebbe dovuto garantire l’affrancamento della popolazione dai trasferimenti in entrata e ridurre la dipendenza dall’esterno. Infatti, lo sviluppo di attività industriali locali favorito dai finanziamenti dei Paesi né Vicini né Lontani avrebbe dovuto sostenere la crescita del sistema economico, così da ridurre la povertà che aveva storicamente angustiato la popolazione, protagonista del nostro racconto. Tuttavia il disegno rimase sulla carta: il tubo in uscita restò un’opera incompiuta per diffuse responsabilità, scelte sbagliate, manifesta incapacità e incompetenza delle classi dirigenti, Locali e Nazionali. Il paesino perse l’occasione di innescare uno sviluppo virtuoso malgrado i consistenti investimenti che dovevano risolvere i problemi economici e politici, a vantaggio di un popolo in ritardo con gli appuntamenti della modernità.
S’installarono invece impianti industriali per i mercati internazionali, dai quali provenivano anche le materie prime, senza relazioni con le risorse e le competenze locali, forse limitate ma costruite dalla popolazione nel suo faticoso e difficile cammino.
Il risultato fu il disordine, condizione che si diceva avesse a che fare con il nome del paesino, Entropia: ciminiere fumanti a inquinare il cielo pulito dal maestrale; ferro piantato nelle carni di una terra fertile lasciato ad arrugginire e a offenderla; scorie di ogni tipo a formare montagne di colore rosso sangue e a contaminare falde acquifere; paesaggio sfregiato da cattedrali di acciaio emananti effluvi letali; buste paga tra riduzione o azzeramento, arma da chiamarsi con il suo vero nome: ricatto occupazionale.
E deserto intorno, per la scarsità di industrie capaci di far crescere un territorio affamato di cose serie. E proprie. Sembravano tutti prigionieri di un modello di sviluppo fittizio, pervicacemente alimentato da risorse pubbliche benché in disfacimento.
L’illusione ingenerata nella popolazione di poter convivere con redditi via via decrescenti ma con disordine e confusione crescenti era alimentata da una parte della classe dirigente, che agiva come se fosse normale affidare a periodici rigurgiti di orgoglio autonomistico il compito di placare la piazza. O indossare abiti in velluto e presentarsi astutamente come nuovi, capaci di sintonizzarsi con i sentimenti mutevoli del paesino per risolvere problemi immani e complicati.
Molti di costoro si impegnavano su questioni spesso irrilevanti ma rappresentate come di vitale importanza, sprecando energie e talenti in disquisizioni che avrebbero potuto trovare migliore utilità in consessi meno angosciati da problemi economici. La solennità con cui si discettava era inversamente proporzionale a consistenza e utilità delle chiacchiere che denotavano ignoranza delle questioni vere, compensata da presunzione pretenziosa.
Esponenti della classe dirigente, rosi dall’arrivismo, giungevano a tali livelli d’irresponsabilità da mettere in campo artifizi per carpire la buona fede di gente ingenua o che ingenua e credulona voleva per disperazione apparire. Gente che magari li votava, salvo pentirsi vedendoli all’opera. Scattava allora l’istituto della vendetta, come da tradizione, e li cacciava chiamandoli, con bonaria ironia, “Vertici Competenti”.
Sì, perché nonostante tutto era buona gente, quella gente.
Così stavano più o meno le cose, nel paese chiamato Entropia.
PERCHÉ IL NOME ENTROPIA. Confusione, disordine, caos erano la cifra del mitico paesino. La sua condizione era simile a quella di un paese sottosviluppato, con un sistema economico così sgangherato che, anche rispetto alla non brillante media della nazione, il confronto era perdente.
Disastroso il confronto dei suoi indicatori con quelli del Paese né Vicino né Lontano al primo posto nella classifica nazionale dei paesi più ricchi, noto come il paese de La Madunina.
Così, poiché nel sistema economico regnava sovrano il disordine, la povertà era attaccata alla popolazione come una cozza allo scoglio e nessun medico era in grado di guarire il malato o di alleviarne le sofferenze, qualcuno decise di dargli il nome di Entropia. Sì, Entropia fu chiamato, da allora, cambiando il nome conosciuto e sempre rispettato dai popoli affacciati sul Mare Mannu: Sardegna. (...)