Mikhail Shishkin è uno dei grandi narratori russi contemporanei. Da anni vive in Svizzera per scelta e soprattutto perché col tempo è diventato sempre più inviso al regime di Putin. Nei suoi libri, infatti, Mikhail Shishkin racconta l’anima della Russia, quella più profonda e radicata, con le sue virtù – la grandezza della cultura e della letteratura, per fare un esempio – e i suoi vizi – l’ansia di potenza e le ambizioni imperiali. Figlio di padre russo e di madre ucraina, Shishkin ha vissuto sulla sua pelle il lento e inesorabile scivolare di Russia e Ucraina verso una guerra che lo scrittore in molti suoi interventi degli ultimi mesi ha definito una mostruosa tragedia.

Per tutte queste ragioni è aumentata l’attesa per la pubblicazione in Italia del suo ultimo romanzo, “Punto di fuga” (21lettere editore, 2022, pp. 448, anche e-book). Si tratta di un libro epistolare che prende il via dalle lettere che due giovani innamorati russi separati dalla guerra si scambiano nel corso degli anni.

LA TRAMA – Lui è Volodya, aspirante scrittore, ossessionato dall’idea della morte e spinto dalla voglia di “sentire la vita”, di assaporarla fino in fondo in ogni suo aspetto. Per questo decide di partire come volontario nella guerra dei Boxer scoppiata in Cina ai primi del Novecento. Lei è Sashka, una giovane che deve fare i conti con le limitate prospettive – soprattutto per una donna – della monotona provincia russa.

La copertina del libro (foto concessa)
La copertina del libro (foto concessa)
La copertina del libro (foto concessa)

Lettera dopo lettera li conosciamo più a fondo, entriamo nelle loro vite e nelle loro anime. Ne ricostruiamo la storia familiare, i rapporti, ne ascoltiamo i pensieri. Condividiamo il loro amore, un amore struggente, forte, ingenuo e travolgente. Lei racconta soprattutto la propria quotidianità in famiglia mentre lui ricorda la noia tra una battaglia e l’altra e riflette sull’infinita ciclicità della guerra e sull’universalità della morte.

SPAZIO E TEMPO – Punto di fuga, però, non si limita al racconto di una storia d’amore e di lontananza. Proseguendo nella lettura ci rendiamo conto che Sashka e Volodya non sono solo separati dallo spazio, ma anche e soprattutto dal tempo. Le lettere dell’uno rincorrono quelle dell’altra e viceversa. Volodya spedisce le sue lettere dal fronte nel corso di pochi mesi di guerra, Sashka invece scrive e risponde all’amato per anni fino quasi ai giorni nostri. Così le immagini di quotidiana insofferenza di Sashka – un espediente che Shishkin utilizza anche per una critica alla Russia moderna – si alternano ai pensieri di Volodya sulle condizioni disumanizzanti della guerra.

Spesso le missive non hanno neppure risposta, probabilmente non giungono neppure a destinazione. Eppure, la corrispondenza non si blocca perché per entrambi i protagonisti comunicare è essenziale per continuare a sentirsi vivi e in relazione tra di loro e con il mondo. “Non arrivano solo le lettere che rimangono non scritte” spiega non a caso Volodya e aggiunge: “Tutto il presente è insignificante e futile se non porta alle parole e se le parole non portano a lui. Solo le parole giustificano in qualche modo l’esistenza delle cose, danno un senso all’attimo, rendono reale l’irrealtà, mi rendono me stesso”. In questo modo il giovane – e con lui l’autore del romanzo - rivendica la forza rivoluzionaria della parola, unico vero antidoto all’oblio della coscienza, alla solitudine, alla furia della guerra. In questo modo il legame tra Sashka e Volodya diventa simbolo di ogni legame umano capace di resistere al tempo e alla distanza. Capace di rimanere vivo nonostante il crollo del mondo circostante. Capace di regalare gioia di vivere, beffando anche l’insensatezza della morte probabilmente conosciuta da Sashka nei primi mesi di guerra.

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