Nel 1961 lo scrittore polacco Stanislaw Lem diede alle stampe Solaris provocando un vero e proprio terremoto nel mondo della narrativa fantascientifica. Fino a quel momento, infatti, la fantascienza era stata considerata più che altro un genere d'intrattenimento. Insomma, niente a che vedere con la letteratura "alta".

Lem, però, dimostrò che il genere era adatto per affrontare temi seri, dilemmi filosofici e le grandi domande che accompagnano da sempre l'uomo. Per chi non conoscesse la storia, infatti, in Solaris un astronauta approda su una stazione spaziale che gira attorno al pianeta che dà il titolo al libro. Siamo all'estremo lembo dell'universo e l'astronauta si ritrova in un luogo ostile, dove i pochi ospiti della base stellare sembrano angosciati e prostrati e gli oggetti subiscono strane deformazioni mentre si avvertono oscure presenze. Anche perché Solaris non è un pianeta come gli altri: ha la forma di un vasto oceano e dovrebbe conflagrare se la sua orbita seguisse le leggi della fisica. Però è come dotato di capacità cosciente di reazione, è un immenso cervello in grado di produrre apparizioni di fantasmi, proiezioni viventi di incubi, sogni e fantasie. L'astronauta rimane contagiato dalla stessa angoscia che domina tutto l'ambiente e comincia a porsi interrogativi sul tema dell'Identità, del Soggetto, dell'Io. E assieme a lui questi interrogativi smuovono il lettore, lo spingono a interrogarsi su se stesso.

Alla fine del romanzo di Lem molti interrogativi trovano risposta, ma molti altri rimangono, però, aperti. Che cosa ne è stato, allora, del gigantesco cervello "a forma di oceano", forse un dio, che sul finire del romanzo di Lem faceva impazzire gli astronauti che lo avvicinavano? Che ne è stato dello psicologo Kelvin, unico sopravvissuto della base spaziale e, nonostante i pericoli, deciso a rimanere sul pianeta Solaris?

In Solaris – parte seconda (Mimesis, 2020, pp. 246, anche e-book) lo scrittore svizzero di origine croato-jugoslava Sergej Roić prova ad azzardare alcune risposte e a raccontare una nuova avventura umana e filosofica a contatto con l’oceano dalle sembianze divine.

Un’impresa da far tremare i polsi, pensando al successo e all’importanza del primo Solaris. Per questo chiediamo a Roić come è nata l’idea di dare un seguito al capolavoro di Lem:

"Da un certo punto di vista, per caso: sono incappato nel libro di Lem in una libreria e alcuni miei amici filosofi mi hanno poi sfidato a scrivere la continuazione della storia. È anche vero, però, che già il mio romanzo precedente, Vorrei che tu fossi qui del 2017, si cimentava con tematiche esistenziali-futuristiche come il principio antropico, il punto omega teorizzato da Teilhard de Chardin, le elucubrazioni di Platone su forma e materia, tutti temi che non sono del tutto estranei al ‘pensiero di Solaris’ di Lem. Naturalmente, da parte mia c’è stata una buona dose di incoscienza nel tentare l’impresa, ma mi ha aiutato il fatto che proprio l’immaginario lemiano di Solaris è in qualche modo non-concluso e apre le porte ad altri drammi, ulteriori riflessioni. Inoltre, ho avuto come ʻpunto d’appoggioʼ le splendide immagini con cui il pittore Renzo Ferrari ha interpretato la seconda avventura di Solaris".

Cosa ha voluto dire di nuovo rispetto al testo di Lem che è oramai vecchio di quasi sessant’anni?

"Il mio è una sorta di sequel del romanzo di Lem, nel senso che si svolge ʻdopoʼ la storia di Kelvin, Harey, Snaut e degli altri protagonisti di Solaris. La narrazione, in questa ‘seconda puntata’ solariana, ha il suo punto centrale proprio nel pianeta Solaris, ora popolato dai ‘mortali’, esseri in qualche modo umani ma del tutto ignari del proprio passato. Discendono dagli astronauti terrestri o sono creature generate dall’oceano senziente? La conclusione di Solaris - parte seconda propone poi uno sdoppiamento dell’azione che riprende un’intuizione sui destini plurimi proposta da Borges".

Nel suo libro i protagonisti sfidano quella che possiamo considerare la peggiore delle maledizioni umane: l'impossibilità di conoscere. Come lo fanno e riusciranno a ottenere la conoscenza? Ma, soprattutto, cosa intendiamo per conoscenza?

"L’impossibilità di conoscere, l'inconoscibilità, è il tema principale di Solaris. Esploreremo le profondità dell’universo? Può darsi, probabilmente sì. Incontreremo, in queste profondità, ciò che ci aspettiamo di incontrare? Sicuramente no. Nella mia seconda parte si presenta un problema supplementare: gli esseri, i mortali, che popolano Solaris sono in totale balia dell’oceano senziente e i loro sogni e ricordi non hanno origine nel luogo in cui vivono, il pianeta Solaris. Lo straniamento è totale. E a partire da questo straniamento, da questa schiatta di solariani umanissimi che tentano di esplorare a loro volta il cielo ma che sono trattenuti a terra dalla forza-volere di Solaris, ecco che si arriva a considerare la vera realtà delle cose e dei fenomeni che non sono altro se non un materiale pronto ad accogliere la forma adatta che con essi combacia".

La fantascienza ha ancora la forza, come ai tempi del Solaris di Lem, di raccontare i problemi dell'oggi e di immaginare il futuro?

"Sì, la fantascienza è ancora attuale ed è tuttora proiettata nel futuro. Naturalmente, bisogna distinguere: c’è tanta fantascienza ripetitiva in giro, libri e film con schemi narrativi triti e ritriti. È la fantascienza che parte alla scoperta di nuovi temi e modi narrativi che fa testo. Quella di Philip K. Dick, di Dan Simmons e, appunto, Lem, che non è per nulla invecchiato come narratore di problematiche del futuro. Lo si può leggere oggi come lo si leggeva sessant’anni fa, le sue domande non hanno perso di attualità. È anche per questo motivo che ho osato cimentarmi col suo immaginario solariano. L’ho trovato perfettamente conservato, attualissimo e in attesa di essere ancora una volta interrogato da un punto di vista né convergente né divergente col racconto di Lem, ma in qualche modo parallelo e complementare".
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