Il volume Dove siamo della collana Buongiorno SarDegna - il secondo riproposto da L'Unione Sarda in una nuova edizione illustrata - si apre con l'espediente letterario dello "specchio riflesso", nel quale il popolo dei Nur vede replicata l'immagine semplice e cruda della propria comunità e del proprio presente, quasi fosse un corpo estraneo, spettatore imparziale e finalmente obiettivo.

Ancora una volta, attraverso la formula della metafora, l'Isola è protagonista del racconto e viene presentata dall'autore e dal suo alter ego Giuseppi dei Nur come un corpo malato bisognoso di cure radicali. E con lo stesso sguardo critico e distaccato del chirurgo che si appresti a operare un paziente, chi scrive passa in rassegna uno a uno i mali che affliggono la Sardegna odierna, perché solo dalle cause che li hanno provocati e dalle abitudini che li alimentano si può intraprendere la giusta cura, oggetto del terzo e ultimo volume della collana, Dove possiamo andare, in edicola il prossimo 27 ottobre.

Dalle pagine del volume "Dove siamo"
Dalle pagine del volume "Dove siamo"
Dalle pagine del volume "Dove siamo"

Scorrono così tutte le ferite inferte al paziente Sardegna e tutte le risorse violate da altri in cambio di pochi spiccioli o magari di lasciti infausti per l'ambiente e la salute degli abitanti, si tratti di conquistatori fenici, le Repubbliche marinare, teste coronate straniere o nostrane, o, per arrivare alla storia recente, grandi gruppi industriali travestiti da investitori-benefattori.

Un mix deleterio tra torti subiti e atteggiamenti sbagliati radicati tra gli abitanti, sostiene l’autore, riferendosi in particolare a quell'invidia verso il prossimo diffusa ormai come un virus, e al vittimismo di quanti, abituati a lasciar decidere del proprio destino ad altri, i forestieri, non hanno più voglia di fare da sé.

IL VIRUS DELL'INVIDIA - Si narra che, rovistando in cantina tra le cianfrusaglie accumulatesi nel tempo, un simpatico abitante del paese chiamato Entropia trovò una meravigliosa lampada, come mai ricordava di averne possedute o soltanto viste di simili. (...) La cosa più stupefacente fu che, una volta spolverata e accesa, la lampada cominciò a parlare e le prime sue parole furono: "Sono la lampada di Aladino e, visto che mi hai trovata e accesa hai rotto l'incantesimo che mi teneva prigioniera e muta, così che io farò per te qualunque cosa tu mi chieda, per dimostrarti la mia più grande gratitudine per avermi ridato la vita".

Tutto avrebbe potuto ottenere, Peppineddu il fortunato. Ma a due condizioni: avrebbe dovuto esprimere il desiderio che più gli stava a cuore, quello che l'avrebbe reso davvero più felice e appagato, una volta sola. E che qualunque cosa avesse scelto sarebbe stata raddoppiata per il suo vicino. Avrebbe potuto scegliere di diventare ricco, anzi ricchissimo, e permettersi così tutto ciò che aveva sempre sognato per sé e per la propria famiglia: bella casa, anzi due, e perché no tre, in città, al mare e in montagna; bella macchina, e perché no tre, una per sé, una per il babbo e una per la sorella; e gioielli, abiti, finalmente scarpe in abbondanza, e soldi, soldi, soldi, soldi come mai avrebbe potuto immaginare di avere.

Ma, c'era un ma: qualunque cosa avesse chiesto alla lampada l'avrebbe ottenuta per sé e raddoppiata per il vicino. Avrebbe potuto rinunciare alle ricchezze a portata di mano per sé e con ciò godere per la doppia rinuncia che avrebbe patito l’altro, provando così compiacimento e persino gioia maligna nel sapere di non aver deliberatamente procurato vantaggi all'odiato rivale, ma, anzi, di averlo danneggiato privandolo di ricchezze immense.

No, neppure questo era però sufficiente per Peppineddu.

Così decise di rinunciare a tutte le ricchezze che avrebbe potuto avere senza tuttavia rinunciare a esprimere comunque un desiderio, certo che sarebbe stato raddoppiato per il suo vicino, come la regola imponeva. E, rivolto con fare solenne alla lampada, ordinò: "Lampada di Aladino, cavami un occhio".

(Unioneonline/b.m.)

Interni del libro "Dove siamo"
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