“Se non la pensi come me ti cancello!”
Guia Soncini si interroga su questa nostra epoca segnata dal diritto di offendersi e dal dovere di indignarsi
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Nel Sessantotto andava di moda un vecchio motto anarchico che recitava: “La fantasia distruggerà il potere, e una risata vi seppellirà”. Oggi, viceversa solo a ridere di una battuta o di un semplice accadimento si rischia di essere tacciati di insensibilità, di mancanza di rispetto per la persona o la categoria oggetto del lazzo o dell’inciampo.
Nell’epoca del politically correct diventato religione e dell’inclusività come mantra, ogni parola, privata e soprattutto pubblica, va soppesata perché il rischio di incorrere nel reato di lesa maestà è altissimo. Urtare la suscettibilità altrui è oramai pane quotidiano. E non vale solo per ciò che si fa o si dice al presente, ma anche per ciò che appartiene a un passato più o meno lontano: una canzone di cinquant’anni fa, un film ambientato a metà dell’Ottocento. Una parola fuori posto, una situazione sgradita ed eccola che arriva, l’indignazione di giornata, passatempo mondiale, monopolizzatrice delle conversazioni e degli umori. Una indignazione che scaturisce dalla morte del contesto e dall’affermarsi del prepotente feticismo della fragilità, per cui “poverino” è diventato l’unico approccio concesso. Gli effetti di questa predisposizione all’offendersi e indignarsi per tutto e con tutti li ritroviamo nel trionfo della cancel culture, l’idea che ciò che non piace o stona rispetto al main stream debba essere cancellato, dannato per sempre.
Questi ed altri temi, come il ruolo dei social come amplificatori di dissenso e indignazione e i timori per la condanna all’oblio della libertà di espressione, sono al centro dell’incisivo saggio di Guia Soncini “L'era della suscettibilità” (Marsilio, pp. 192, anche e-book). Un saggio che ci aiuta a capire come siamo arrivati fin qui: al diritto di offenderci, al dovere di indignarci.
Ma da quando siamo diventati tanto suscettibili? Lo chiediamo direttamente a Guia Soncini:
“Alcuni lo erano da sempre, altri lo sono diventati dopo il 1981, quando arriva il modello contemporaneo di suscettibilità che non sveleremo qui altrimenti cos'ho scritto il libro a fare. Questi due sottoinsiemi sono accomunati però da una mutazione antropologica recente: fino all'epoca dei social, il mio offendermi per uno sketch comico, per un editoriale, per un'opinione che non assecondava le mie restava relegato a conversazioni private. La mia suscettibilità dovevano sorbirsela gli amici a cena, o al massimo qualche avventore di bar. Da quando è stato dato un pulpito a tutti, da quando ‘Fragolina85’ espone la propria suscettibilità in un tweet, e i giornali la rilanciano titolando ‘Bufera web’ e dandole dignità d'opinione pubblica, si avvia ogni volta quel meccanismo già studiato da un Nobel per la Fisica, Werner Heisenberg: l'osservazione d'un fenomeno cambia il fenomeno stesso”.
Cosa si nasconde dietro questa suscettibilità che ci porta ad offenderci continuamente?
“Cose diverse, per fortuna: gli esseri umani funzionano tutti nello stesso modo, ma ognuno a modo suo. C'è chi è sinceramente indignato da ogni inciampo degli altri; chi si allinea sebbene non gliene importi davvero granché, ma avendo capito che conviene stare dalla parte dei buoni e in questo tempo i buoni sono quelli che chiedono la testa di qualcuno; chi sa che c'è qualcosa da guadagnarci. Si indignano moltissimo le multinazionali, per esempio, che prima ti dicono che stanno dalla parte della tal categoria oppressa, e poi - che coincidenza - ti propongono il loro prodotto pensato proprio per la tal categoria oppressa. Il marketing della suscettibilità è una questione assai interessante”.
Cosa ci perdiamo, cosa viene a mancare nel momento in cui di diventa suscettibili per tutto?
“Lo scopriranno gli storici fra cent'anni, trovando nei cassetti romanzi non scritti, programmi televisivi non realizzati, film non girati da autori che si fanno la domanda che ormai si fa chiunque abbia una pubblica risonanza: chi me lo fa fare? Chi me lo fa fare di raccontare una storia controversa, di azzardare una battuta urticante, di rischiare di dover passare ore, settimane, anni, a chiedere scusa a gente convinta che l'arte debba essere uno specchio, a un pubblico certo che tutto ciò che non gli somiglia debba indignarlo?".
Quali antidoti abbiamo contro tutta questa suscettibilità che ci circonda?
“C'è un meccanismo patologico, nelle dinamiche della pubblica offesa, ed è quello delle scuse. Chi ha peccato di lesa suscettibilità si scusa, ma le scuse non bastano mai, la frase tipo in risposta è ‘mica penserà di cavarsela così’. Non basta dire che ti sei sbagliato: devi scomparire dalla vita pubblica, non devi più avere una carriera, devi essere umiliato pubblicamente e rovinato privatamente. Ho constatato, in anni di partecipazione al fenomeno a scopo di studio ma anche di diletto, che il meccanismo viene mandato in cortocircuito dalla mancanza di contrizione. Se, invece di dire che hai sbagliato - e che d'ora in poi starai più attenta alle nuove sensibilità e non farai più battutacce e supplichi la folla inferocita di risparmiarti - rispondi ‘embè?’, la massa linciante va in tilt. Sembra un po' quella scena del film Mars Attacks! in cui agli alieni esplode il cervello sentendo le canzoni romantiche”.
Ma lei non si indigna o non è suscettibile proprio mai?
“Mi indignano moltissime cose. Chi commenta articoli avendo letto solo il titolo (accadrà anche sotto questa intervista, accade sempre); chi arriva in ritardo (ho vissuto diciassette anni a Roma: diciassette anni passati ad aspettare); i maggiorenni che pasteggiano con bibite zuccherate; il fatto che la messa in piega alle donne che devono risultare presentabili in ufficio non la rimborsi lo Stato; quelli che ti chiedono di raccontargli il tuo libro così possono far finta d'averlo letto. Mi offende tutto, ma la durata della mia attenzione è quella d'un pesce rosso, quindi dieci secondi dopo dimentico d'essere offesa: mi accade persino di pasteggiare una seconda volta con chi al pranzo precedente aveva accompagnato agli spaghetti alle vongole la cedrata”.