Nell'immaginario di noi europei, il nostro continente è il centro del mondo. È il continente che ha "scoperto" gli altri grazie all'ardimento dei suoi grandi esploratori, primo fra tutti Cristoforo Colombo, e quella europea è la civiltà che ha avviato il progresso tecnico e scientifico di cui godiamo oggi.

Si tratta naturalmente di un punto di vista distorto, un classico esempio di eurocentrismo come ci conferma Paolo Grillo, docente di Storia medievale all'Università di Milano, nel suo "Le porte del mondo" (Mondadori, 2019, pp. 288, anche e-book).

In questo bel saggio Grillo ci racconta l'incontro tra Europa e resto del mondo partendo da una prospettiva diversa dalla solita, una prospettiva che in epoca medievale vedeva gli abitanti del nostro continente ben consci di vivere alla periferia di un mondo ricco, colto, civilizzato e multipolare, dove avrebbero dovuto ritagliarsi un ruolo sviluppando il dialogo e i commerci, non certo imponendo le loro regole oppure cercando di affermarsi con gli eserciti. A confermarcelo è proprio Paolo Grillo:

"Per gran parte del Medioevo il mondo frequentato dagli europei si limitava al bacino del Mediterraneo e al Mare del Nord. Nel XIII secolo, però, l'espansione del mondo occidentale verso Oriente e le grandi conquiste mongole aprirono nuovi spazi per gli europei che entrarono così in contatto con altre civiltà, come quelle di Cina, Persia, India ed Etiopia. Ebbene gli europei si accostarono a queste civiltà con molto rispetto perché ne ammiravano la ricchezza e la potenza militare. Anche dal punto di vista religioso vi era curiosità e non disprezzo verso i riti praticati dalle popolazioni asiatiche. L'arte e la moda persiane e, soprattutto, cinesi divennero popolarissime e imitate dalle élite occidentali. Non vi era dunque alcun complesso di superiorità europeo, che è invece un ingombrante retaggio della stagione coloniale del XVIII e del XIX secolo".

La copertina del libro
La copertina del libro
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Che caratteristiche aveva il "resto del mondo" in epoca medievale?

"In quello che noi chiamiamo 'vecchio mondo' (ossia Asia, Africa ed Europa) esistevano grandi e ricchi imperi, fra cui i più importanti e antichi erano i califfati arabo-persiani, la Cina, i principati indiani, quelli indocinesi e l'Etiopia. Fra questi esisteva almeno dall'VIII secolo una grande connessione commerciale fra la sponda araba del Mediterraneo, l'Africa subsahariana, l'Oceano Indiano e quello Pacifico che faceva circolare saperi e ricchezze e rispetto alla quale gli europei furono a lungo periferici. Come detto, soltanto dopo le crociate e le conquiste mongole l'Europa poté inserirsi in questo grande circuito economico e culturale, traendone grandi vantaggi".

Chi furono i primi europei che andarono alla scoperta di questi mondi lontani?

"I primi a muoversi verso Oriente furono i frati francescani e domenicani, attratti dal fatto che i mongoli erano molto curiosi nei confronti delle religioni dei popoli vicini e sembravano disposti alla conversione. I frati, infatti, riuscirono a fondare alcuni importanti conventi in Asia centrale, in Cina e in India. A loro fecero seguito i mercanti italiani, attratti dalle grandi opportunità commerciali della Cina e della Persia (da cui compravano soprattutto seta) e dell'India (che forniva ottime spezie e perle), ma anche dell'Asia centrale e dell'Africa subsahariana. Non mancava poi una folla di avventurieri, mercenari e, talvolta, truffatori che si sparsero sulle vie terrestri e marittime dell'Asia e dell'Oceano indiano".

Quale patrimonio questi viaggiatori trasmisero all'Europa?

"Il pieno inserimento dell'Europa nei grandi circuiti commerciali mondiali portò nel nostro continente grandi ricchezze (come l'oro del Mali, che permise la coniazione del fiorino a Firenze) e nuove tecnologie, come la polvere da sparo o la lavorazione dei broccati di seta. Ma fu molto importante anche il lascito culturale".

Cosa imparammo da questo punto di vista?

"Gli occidentali appresero l'esistenza di un mondo molto più vasto e complesso di quello a cui erano abituati. Ancora, l'esperienza personale dei viaggiatori permise di mettere in dubbio molte leggende che l'Europa medievale aveva ereditato dall'età classica e di sottolineare l'importanza della verifica empirica rispetto al sapere teorico. Infine, i grandi navigatori di fine Quattrocento, come Cristoforo Colombo e Vasco de Gama, si mossero proprio spinti dalla volontà di emulare i loro predecessori e di aprire vie di commercio verso l'Asia, anche se sfruttando itinerari differenti".

Il modo in cui gli europei si rapportavano con l'esterno nel Medioevo può esserci di insegnamento anche oggi?

"Il mondo del XIII-XIV secolo era indubbiamente, come quello odierno, un mondo multipolare, nel quale grandi potenze economiche e militari come la Cina, la Persia, l'Egitto, il sultanato di Dehli e l'impero del Mali erano contemporaneamente rivali e partner commerciali. Gli europei dell'epoca furono molto abili e ambiziosi nell'inserirsi in questo quadro: lo fecero pacificamente, senza pretese egemoniche e con grande rispetto verso gli altri interlocutori. In tal modo seppero trarre grandi vantaggi dall'inserimento in questa globalizzazione ante litteram, acquisendo ricchezze e saperi tecnologici che si sarebbero poi rivelati fondamentali".
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