Gesù, nel Vangelo di Giovanni, afferma: “Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi". La frase evangelica naturalmente ha un valore prima di tutto religioso ma crediamo possa avere un suo significato pregnante anche applicata al racconto storico, alla ricostruzione del passato di una persona e ancora di più di una nazione. Senza ricerca e volontà di conoscere la verità è impossibile fare i conti fino in fondo con la propria storia e questo vale per il singolo individuo e ancora di più per i popoli. Certo, guardare in faccia i propri scheletri nell’armadio richiede coraggio, richiede la forza di rischiare e di non fare sconti alla propria coscienza. Necessita della propensione ad assumersi responsabilità e colpe e disponibilità a pagare per i propri errori e i crimini commessi. Solo in questo modo, però, si costruiscono basi solide per il presente e si può guardare con fiducia a un avvenire diverso.

Purtroppo, questo coraggio e questa volontà di assumersi fino in fondo le proprie responsabilità sono mancati a molti, troppi italiani nel momento più buio della nostra storia nazionale: gli anni del regime fascista e della Seconda guerra mondiale. Tanti, troppi dei nostri connazionali di allora furono fascisti per convenienza fino al 1943 per poi diventare, per le medesime ragioni, antifascisti dopo il 25 luglio e la caduta del regime e indossare i panni dei partigiani di lungo corso a ridosso del 25 aprile 1945. Tanti, troppi fecero il salto della barricata, con opportunismo e cinismo, al momento giusto e si costruirono una fedina immacolata e anzi guadagnarono medaglie al valore nel Dopoguerra nonostante le connivenze e anche i crimini commessi durante il fascismo.

L’Italia del postfascismo scelse, però, di chiudere in fretta i conti con il passato senza farsi troppe domande e fare troppe indagini. Tanti, troppi avevano magagne grandi e piccole da far dimenticare. Tanti, anzi troppi erano disposti a chiudere un occhio, anzi due purché ci si turasse il naso di fronte al puzzo di collusione con il regime mussoliniano che emanavano tanti funzionari, notabili o anche semplici cittadini. Meglio allora alimentare il mito degli “italiani brava gente” e di un’Italia vittima quasi inconsapevole delle follie di Mussolini.  Le storiche Anna Foa e Lucetta Scaraffia ci raccontano nel loro Anime nere (Marsilio, 2021, Euro 17,00, pp. 208. Anche Ebook) proprio una delle tante, troppe storie italiane in cui la menzogna prende il sopravvento sulla verità, per convenienza, pusillanimità, vigliaccheria e spregiudicatezza, egoismo, istinto animalesco di conservazione.

Tutto ha più o meno inizio a Roma, in una data tragica, il 23 marzo 1944. A via Rasella esplode una bomba che uccide trentatré soldati tedeschi. Da Berlino Hitler da un ordine terribile: per ogni ucciso devono morire dieci italiani. Celeste Di Porto, giovane ebrea amante di un fascista, aiuta a scovare nel Ghetto i suoi stessi vicini di casa, che con disprezzo la chiamano la “Pantera Nera”. Una volta liberata Roma dagli alleati Celeste viene rinchiusa nel carcere delle Mantellate, dove conosce una ricca donna tedesca, Elena Hoehn, incarcerata con l’accusa di spionaggio a favore dei nazifascisti. Nel carcere le due donne inizieranno un percorso che le porterà a cercare, con sorti alterne, una nuova avventura nel solco di Chiara Lubich e dell'emergente ideale dei Focolarini. Il loro viaggio spirituale, di redenzione e conversione verrà in un certo senso metabolizzato senza problemi e senza tante domande in un’Italia anelante al rinnovamento e che in nome di questo tendeva a dimenticare le colpe e a rimuovere i delitti. Come scrivono le due autrici, di questa Italia seppero fare sapiente uso le due donne, in particolare Elena Hoehn che «aveva capito che dopo quegli anni convulsi e confusi quasi tutti erano vittime e complici, ricattatori e ricattati. Il mondo non era bianco o nero, ma desolatamente grigio. E che questa era proprio la realtà che nessuno voleva accettare, perché per uscire da questo marasma la gente voleva avere degli eroi, persone pulite e coraggiose a cui guardare. E se gli eroi non c'erano, bisognava crearli.» Divenne così più facile accettare la leggenda che vuole Celeste rancorosa e incapace di discernere tra il bene e il male, salvata da un’anima pia e compassionevole come Elena. Si scelse allora di non scandagliare troppo il passato delle due “redente”, il desiderio ostinato di entrambe di riscattarsi e calcare il “palcoscenico del mondo” e la brama di riscrivere il proprio trascorso che a una lettura un po’ meno superficiale gettavano ombre sulle conversioni religiose. Divenne infine naturale non porsi neppure la domanda se le due donne non fossero altro che delle carnefici con le mani insanguinate che volevano sfuggire al loro destino e si preferì invece alimentare il mito di una conversione religiosa.

Quest’ultima domanda se la sono posta, dopo decenni e come è giusto che sia per chi vuole fare storia e non agiografia o apologia, Anna Foa e Lucetta Scaraffia. Ne è uscito un libro importante, che ci costringe a interrogarci sulle troppe omissioni che commettiamo quando guardiamo ai momenti critici della nostra vicenda nazionale.

La copertina
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