Nando ha mosso i primi passi sui sentieri scoscesi che si inerpicano verso la cima della sua montagna e, anche quando è stato costretto a lavorare in un cantiere a fondovalle, ha sempre desiderato tornare a quel silenzio, all’ultima luce che accende il bosco la sera, al maso solitario che lo protegge dal rumore del mondo. Per questo, quando il “milanese” dice di aver sentito, in una notte di tempesta, il ruggito potente di un animale e il raspare cattivo delle sue unghie contro la porta, Nando non gli crede. Il milanese non conosce le montagne, non sa di che cosa parla. Nessun animale è in grado di sradicare un larice, di far tremare una stalla. Quando però Silvia, una delle poche persone in grado di strappare Nando alla sua solitudine, gli confessa che anche lei ha sentito qualcosa e ha paura, lui si mette in cammino verso quel mistero.

Comincia così Sarà la montagna (Neri Pozza, 2024, pp. 224, anche e-book), ultima fatica letteraria di Luca Saltini, un romanzo in cui in cui il protagonista, Nando, rinnova il proprio legame ancestrale con la natura aspra in cui è nato e vissuto. Spinto dalla sua curiosità e della parole di Silvia, parte di notte, solca il silenzio verde della boscaglia, attraversa la pura emozione dei luoghi intatti, vive la bellezza di una notte sotto il cielo stellato, di una radura dopo un inestricabile groviglio di rami. E rivede il passato con i suoi fantasmi, le ombre dei sogni che non ha potuto realizzare, l’amore che non ha avuto il coraggio di difendere. Al ritmo cadenzato del suo respiro, Nando troverà la strada verso ciò che minaccia il paese. Perché la montagna dà molto, tutto, a quelli come lui, ma sa quando è giunto il tempo di far pagare un prezzo.

A Luca Saltini chiediamo prima di tutto cosa rappresenta per lui la montagna:

«Per me oggi è soprattutto un rifugio. In passato aveva assunto con forza questo ruolo, quando le popolazioni ci salivano per sfuggire agli eserciti e alle pestilenze. Mi pare che nella nostra epoca inquieta questa idea sia tornata con forza ad alimentare il nostro immaginario. Ci sono le guerre, le epidemie, ma soprattutto c’è una società che sentiamo come opprimente. Domina un’ideologia che ritiene possibile sfruttare indefinitamente le risorse del pianeta e di omologare culture e persone sotto uniformi stili di vita e di pensiero. In questo senso, la montagna, con le sue piccole comunità, coi paesi dove tutti si conoscono, dove le persone hanno un ruolo e un nome diventa un laboratorio per una società alternativa. Questo è il mondo che si racconta nel romanzo e la culla dove i personaggi trovano l’opportunità per essere felici».

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Nel libro si cammina molto. Cos’è per lei il cammino?

«Mi piace molto stare nel bosco e mi piacciono le sensazioni che si provano quando si procede tra gli alberi, il passo che si spegne sugli aghi di pino, i profumi, i fruscii. In quel contesto, la mente si libera da molte scorie e il pensiero si compone in modo più ordinato. Camminare e pensare vanno insieme. Il pensiero non è soltanto una attività della testa, ma anche del corpo che col suo andare la favorisce. A me non capita di fare grandi riflessioni mentre cammino nei boschi, anzi, ho la sensazione che la mia mente sia completamente ferma. Eppure, dopo un po’ di quell’andare, ecco che invece si formano le idee, come piccole rivelazioni».

Chi è Nando, come lo definirebbe?

«Nando è un uomo nato e cresciuto sulla montagna. Con la montagna ha un rapporto empatico che gli permette di avvicinarla in modo intimo, di coglierne i messaggi segreti e scoprirne le bellezze più nascoste. Dalla montagna ha imparato l’idea di bastare a sé stesso e soprattutto la filosofia della semplicità, per cui per essere felice gli basta una montagna dove salire e la libertà di farlo».

Nel suo libro a volte la natura fa paura, crea inquietudine. È veramente così che ci si sente in montagna?

«Nel libro i personaggi si sentono a proprio agio sulla montagna, perché sono consapevoli che sapendosi rapportare alla natura in modo corretto, imparando a coglierne i messaggi, sono in grado di conviverci in assoluta armonia. La montagna però è ruvida e non si può pensare di entrare in rapporto con lei restando in una bolla. È necessario faticare, salirla coi propri piedi, sopportare il freddo, il vento, ferirsi le mani sulle rocce. Oggi invece abbiamo la tendenza a viverla un po’ troppo in modo turistico, talvolta a esagerare nel mettere dei mediatori tra noi e la sua asprezza – le tecnologie, gli agi, gli stili di vita della nostra società cittadina. Tutto questo ci impedisce di relazionarci davvero con la montagna e ci fa essere soltanto dei corpi estranei sui suoi pendii, mentre avremmo l’opportunità di entrare in una relazione più profonda che ci consentirebbe di guardare la montagna con occhi diversi».

Quali risposte può dare la montagna a chi è alla ricerca di qualcosa?

«La montagna con la sua vastità ci fa sperimentare concretamente la tensione che sentiamo in noi tra la nostra finitudine – i nostri limiti, le nostre paure, la nostra fragilità – e l’aspirazione all’infinito. Questa esperienza, anche senza avventurarsi in imprese estreme, apre l’animo a un ascolto che è sempre rivelatore».

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