Il titolo del suo ultimo libro è lungo, ma ci sta: riassume un’attesa millenaria. E poi, come suggerisce l’epigrafe, poiché per ogni cosa c’è il suo momento, adesso sarebbe pure arrivato il tempo. Il tempo delle scuse.

“Sto ancora aspettando che qualcuno mi chieda scusa“ è il romanzo (anche un po’ saggio), di Michela Marzano, appena uscito per Rizzoli, il cui tema centrale è la violenza di genere. Una questione cara alla filosofa, scrittrice, editorialista de “la Repubblica“ e “La Stampa“, che ne parlerà sabato a Cagliari (Teatro Doglio, alle 18). L’appuntamento rientra nel programma del Festival LEI, organizzato dalla Compagnia B, con la direzione artistica di Alice Capitanio, in calendario per il fine settimana. 

Arriveranno mai queste scuse?

«Non lo so. È vero che adesso tanti uomini chiedono scusa senza che abbiano agito in maniera violenta, mentre chi lo ha fatto, spesso, neppure è consapevole di ciò. In ogni caso, dobbiamo smetterla di vergognarci e colpevolizzarci per ciò che abbiamo subìto».

Nel libro si sofferma sulla difficoltà delle donne a dire no. Perché ci viene così in salita?

«Perché siamo tuttora immersi nella cultura dello stupro, ovvero all’interno di stereotipi, assai diffusi, per cui fare il maschio vuol dire forzare, imporsi e abusare del proprio potere, e per una donna cedere. Cedere, però, non vuol dire acconsentire. Nonostante i passi fatti, manca alle donne la piena consapevolezza del proprio valore, il fatto che esso è indipendente dallo sguardo o dalle parole altrui».

Come si esplicita il consenso?

«La questione del consenso è complessa. Il consenso nelle relazioni affettive non ha niente a che vedere con il consenso informato che si dà a un atto medico. È, piuttosto, un processo, che si può dare e poi subito dopo ritirare, perché le situazioni, i desideri, gli stati d’animo cambiano. Inoltre, non può essere formalizzato perché altrimenti si rischia di togliere spontaneità e autenticità alle relazioni».

Allora, come si fa?

«Non si deve smettere di ascoltare la persona che ci è accanto, perché c’è tutta una parte di impliciti, di linguaggio non verbale, che bisogna saper cogliere. E poi si deve ricostruire la grammatica delle relazioni».

A distanza di sei anni dal movimento Me Too, che cosa è cambiato?

«Non tantissimo, anche perché subito dopo è arrivato il lockdown e la questione è stata archiviata. Persino alcuni intellettuali di sinistra hanno detto “basta con questo maccartismo da cerniera lampo“. Ma come basta? Per la prima volta le donne trovano il coraggio e la forza di raccontare quello che gli è accaduto senza vergognarsi, e diciamo loro basta?».

La nuova legge per il contrasto alla violenza sulle donne quali effetti può sortire?

«Da quando è stata ratificata la Convenzione di Istanbul, nel 2013, le norme si sono moltiplicate in maniera spropositata, ma finché non si agisce a livello culturale ed educativo non cambierà mai niente.  La Convenzione definiva la violenza contro le donne un fenomeno sistemico e proponeva la strategia delle tre P: punire; proteggere; prevenire. Finora molto si è fatto sul fronte della punizione, poco su quello della protezione e della prevenzione».

La fragilità delle nuove generazioni può essere una causa della violenza di genere? 

«L’aumento delle dipendenze e dei tentativi di suicidio dimostrano che la fragilità degli adolescenti è un fenomeno drammatico. Però, perché sono sempre i ragazzi che esercitano violenza sulle ragazze e non viceversa?».

Come diceva Michela Murgia, la responsabilità è del patriarcato?

«A me non piace questa parola e nel libro non la uso mai. Il lavoro che ha fatto Michela è importantissimo, ma non sempre io ero d’accordo con le sue posizioni. Preferisco parlare di cultura dello stupro. Gli adolescenti crescono con libri di letteratura, storia, filosofia, in cui la figura femminile è assente, oppure sembra che faccia parte della sua natura il fatto di cedere o restare in silenzio».

Quanto pesa l’assenza di Murgia in questo dibattito?

«Pesa sicuramente, eppure lei ha molto seminato per cui ci sono tante giovani donne che ripetono le sue parole e hanno preso il testimone. Del resto, la grandezza di una persona si vede dalla capacità di lasciare un’eredità, e la sua eredità è enorme».

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