“Alla vigilia di tre anniversari: del ’68; dell’autunno caldo (1969) e del centenario del partito sardo, di cui dovevo concludere la storia, ho capito che dovevo dare  un ordine e un senso compiuto  a una parte della mia vita. Nell’estate già caldissima del 2015 mi sono chiesto: com’ero allora e come sono oggi, quasi cinquant’anni dopo? Sono andato a controllare. C’erano documenti disponibili, non rimaneva che entrarci dentro, almeno per la fase sindacale del mio percorso, dalla metà degli anni Settanta e fino a tutti gli Ottanta”. Nascono così i tre volumi che raccolgono le memorie sindacali di Salvatore Cubeddu, sociologo, studioso del sardismo e direttore della Fondazione Sardinia con un passato, non lontanissimo, al vertice della “Federatzione Sarda Metalmeccanicos”, che aveva uno stretto rapporto con la Fim-Cisl.

La storia

Ecco “I diari ritrovati. La straordinaria avventura dei  metalmeccanici sardi raccontata da un protagonista”, 1700 pagine, opera con un respiro ampio pubblicata da Edes. Tre volumi densi di pensieri, ricordi, lotte nel quadro di una società che cambia profondamente nelle dinamiche produttive e nel rapporto tra i proprietari delle fabbriche (in Sardegna c’era un dominio pubblico con il sistema delle partecipazioni statali) e i  lavoratori. A dir la verità, c’è anche un quarto volume, di poco più di 500 pagine, che è la sintesi dei precedenti con  il rimando all'insieme dell'opera attraverso i files in formato digitale che possono essere aperti con la lettura di un QR code. Cubeddu ripercorre momenti esaltanti: «Quelli in cui emergeva l’identità generosa e costruttiva nel rapporto con il popolo sardo, ad esempio, la marcia po su traballu del 1979 ed il congresso fondativo della Federatzione Sarda Metalmeccanicos, e la collaborazione solidale dei tanti che, insieme ed in poco tempo, hanno consentito al sindacato unitario dei metalmeccanici di avviare un progetto di industria alternativo alla petrolchimica, che valorizzava di essa l’esito più interessante ovvero la professionalità degli operai sardi, i migliori in Italia nelle loro specializzazioni». Il testimone di quelle vicende riunisce, commenta ed elabora gli appunti raccolti in quindici anni di militanza. Nella trama, con una scansione temporale e tematica, l’avvio della vertenza Sardegna alla metà degli anni Settanta, la lotta per un lavoro nuovo (1979-1980) e il tramonto del sogno industriale (1981-1989).

Gioie e dolori

Un’alternanza di sentimenti tra gioie e battute d’arresto, successi e disillusioni. I momenti più dolorosi? «Probabilmente vanno cercati nelle occasioni in cui, della classe dirigente sarda nel suo complesso, emergeva incompetenza e pavidità. Nel caso del sindacato, erano i lavoratori a pagare, non diversamente da quello che li toccava in quanto cittadini sardi». Il lungo racconto di Salvatore Cubeddu è anche la cronaca del fallimento della grande industria nell’Isola, un modello che si è rivelato fragile e strategicamente inadeguato: «La dipendenza di parte importante del ceto dirigente sardo dalla ‘società petrolchimica’ (politica, organizzazioni sociali e sindacati, giornali, sport) ha portato a perdere, nell’industria, quasi tutto quello che si era costruito nei primi vent’anni di autonomia ‘dipendente’, ma è pure riuscita ad impedire che si affermasse quell’alternativa per la cui realizzazione si è battuto il movimento dei metalmeccanici, forse il più costruttivo e longevo della vicenda sarda moderna». I “Diari” sono dedicati «ai compagni metalmeccanici, nessuno dei quali è stato definitivamente licenziato e tutti sono arrivati alla pensione». Un bilancio? «Rispondo da cristiano: ho ‘combattuto una buona battaglia e non ho perso la fede’ anche nei sardi e nella Sardegna, con amici e compagni che ho stimato e che ho la fortuna di sentire ancora tali».

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