Un'istantanea delle prime varianti virali presenti nel centro Sardegna durante le fasi iniziali della prima ondata del 2020 è quella "immortalata" nello studio pubblicato sulla rivista scientifica Frontiers in Microbiology, e nato dalla collaborazione tra l'Università di Cagliari e il Laboratorio Covid dell'Ospedale San Francesco di Nuoro, condotto principalmente da Giovanna Piras (dirigente biologo dell'Ospedale San Francesco a Nuoro) e Nicole Grandi (ricercatrice al Dipartimento di Scienze della Vita e dell'ambiente dell'ateneo cagliaritano) e coordinato da Enzo Tramontano (docente di microbiologia e virologia all'Università di Cagliari).

"Monitorare l'emergere ed il diffondersi delle varianti genetiche di SARS-CoV-2 - spiega Tramontano - è essenziale per conoscere come il virus si evolve, anche rispetto alle misure vaccinali in atto".

Nonostante l'isolamento geografico e il tempestivo blocco degli spostamenti, la ricerca evidenzia una significativa diversità genomica, inaspettata in base al basso numero di casi inizialmente presenti in Sardegna. In particolare, emerge come la variante D164G della proteina spike, che ha un'aumentata infettività ed è poi diventata dominante in Italia e nel mondo, fosse circolante nel territorio insulare fin dalle prime settimane della pandemia. "Una situazione analoga - spiegano dall'Università - è riportata per la variante P4715L del gene della polimerasi, che sembra aumentare il tasso di mutazione virale ed essere responsabile di mancato riconoscimento da parte degli anticorpi. Degne di nota anche una serie di mutazioni inedite, non presenti negli isolati virali italiani noti e scarsamente riportate anche a livello globale, delle quali si sta valutando l'impatto".

Nel complesso, la diversità genomica evidenziata dallo studio indica che in Sardegna all'inizio del 2020 non si è avuto un solo "paziente zero", ma una serie di "pazienti zero", che in numerosi casi hanno "importato" il virus nell'Isola a seguito di rientri dal Nord Italia o da altre aree Europee. In particolare, lo studio certifica come nelle primissime fasi della epidemia, diversi "pazienti zero" abbiano contratto l'infezione partecipando a convegni, come peraltro osservato anche negli Stati Uniti. In Sardegna, tuttavia, tali convegni hanno coinvolto personale sanitario, favorendo così la diffusione dell'epidemia negli ospedali dell'Isola.

Lo studio proseguirà nel più ampio progetto collaborativo di ricerca, supportato da Sardegna Ricerche, che vede coinvolti anche l'Università di Sassari, una seconda unità dell'Università di Cagliari ed il CRS4, e che mira ad un costante monitoraggio delle varianti di SARS-CoV-2 circolanti in Sardegna.

(Unioneonline/v.l.)
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