A scuola la storia risulta spesso una materia ostica per i più giovani. Bambini e ragazzi faticano ad appassionarsi a una materia da cui non si sentono coinvolti direttamente, che avvertono come estranea alla loro vita. Insomma, l'italiano è pesante ma serve per intendersi, la matematica è complicata ma come farne senza anche solo per comprare un gelato, l’inglese serve per viaggiare… e la storia? "Che ce ne facciamo della storia?" sembrano chiedersi molti studenti.

Lo storico Carlo Greppi ha provato a rispondere a questa domanda raccontando il passato in maniera diversa da quanto accade nei manuali scolastici. Ha intrecciato, infatti, quello che si studia a scuola – le date, i grandi eventi, le battaglie, i personaggi importanti – con la vita che conducevano le persone comuni, gli oggetti che usavano nella loro vita quotidiana, le abitudini.

È nato così "La storia sei tu" (Rizzoli, 2019, pp. 204), volume illustrato che ripercorre gli ultimi mille anni come un viaggio che ognuno avrebbe potuto compiere e in parte ha compiuto, generazione dopo generazione, fino ad arrivare ai giorni nostri. Perché la storia ci riguarda in prima persona come conferma proprio Carlo Greppi:

"L'obiettivo del libro è far capire a bambini e ragazzi che tutti noi siamo il prodotto di una lunga vicenda storica, una vicenda che ha radici estese e articolate ma che vanno a comporre quello che siamo oggi".

Perché la storia è così poco amata dai ragazzi?

"Perché, a parte qualche eccezione, in Italia viene raccontata in maniera troppo nozionistica. È una storia da mandare a memoria, incentrata su grandi avvenimenti, papi e imperatori. Nel mio libro, invece, ho cercato di narrare la vicenda storica dal basso, per fare capire che la storia è fatta di persone che hanno avuto emozioni, che hanno vissuto vite in cui possiamo immedesimarci".

Per favorire questa immedesimazione si può anche romanzare un po' il racconto così da renderlo appassionante?

"Credo che non ci sia bisogno di romanzare. Si può semplicemente raccontare la storia in maniera diversa, anche se corretta, magari ricorrendo a serie tv oppure videogiochi. Liimportante è narrare la storia perché senza racconto la storia non esiste".

Si deve raccontare tutto della storia ai più piccoli, anche le vicende più tragiche e drammatiche?

"Me lo sono chiesto per questo mio libro. Avrei potuto evitare gli eventi tragici, circumnavigarli, però a quel punto avrei falsato la storia, l’avrei edulcorata. Ho scelto allora di arrivare vicino alle grandi tragedie, narrando quello che è accaduto subito prima o subito dopo, in modo da far capire che qualcosa di terribile è successo e che non può essere tralasciato del tutto".

La storia viene insegnata a scuola. Ma serve a insegnarci qualcosa nella vita?

"La storia ha molto da insegnarci se smettiamo di considerarla come qualcosa di oggettivo, di esterno a noi. La storia ci insegna se ci ricordiamo di essere parte di un flusso, dello scorrere del tempo. Allora possiamo mettere noi stessi, i nostri valori, il mondo in cui viviamo alla prova con il passato più o meno lontano. La storia è un enorme bacino di precedenti, che ci possono fare da guida. È come nello sport: guardare ai grandi campioni del passato ci può aiutare a migliorare. Lo stesso accade con gli eventi storici".
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