Nel Sessantotto si parlava molto di immaginazione al potere. Probabilmente era uno slogan eccessivo perché con la sola fantasia è veramente difficile arrivare alla fine del mese. Oggi però si sta cadendo nell’eccesso opposto e ci ritroviamo quasi per contrappasso in un mondo dove dominano la tecnica e la finanza, dove ogni cosa deve avere un fine pratico, produttivo, deve poter essere monetizzato. Insomma, un mondo ben poco poetico, quasi a dare ragione agli antichi che ripetevano “Carmina non dant panem”, le poesie non fanno guadagnare pane, anzi spesso non fanno guadagnare affatto. E questo pare rendere la poesia già di per sé quanto di più antimoderno ci possa essere al mondo d’oggi.

Eppure, proprio in un mondo come quello odierno, tanto pratico e tanto proteso verso il risultato, di poesia c’è un gran bisogno come ci racconta Carmelo Pistillo che proprio in quest’anno di pandemia ha dato alle stampe la raccolta poetica Poesia da camera (Stampa 2009, pp.120):

"Il mondo intero ha bisogno di poesia, ma di poesia vera. Quella vera è un ponte che attraversa i secoli e continua a parlarci. È un ponte che collega passato, presente e futuro. Il poeta è colui che cerca verità segrete e offre, a chi non riesce ad esprimerla, la sua idea di mondo. Chi scrive ha questa ricchezza e la mette a disposizione di chi vuole ascoltare. Non è vero quindi che la poesia non produca nulla. Sicuramente non aumenta il PIL, ma indica la bellezza, la speranza e la fiducia in un avvenire meno carico di pena. Solo l’arte possiede la capacità di far sognare, morire e rinascere nello stesso istante. La poesia è parola, e la parola, secondo l’idea dello scrittore francese del Cinquecento Montaigne, è per metà di chi parla e per metà di chi l’ascolta. Quando l’umanità sarà incapace di parlare e di ascoltare, e dunque non più in grado di generare il futuro, sarà un’umanità morta".

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Come mai ha intitolato la sua raccolta Poesia da camera?

"La scelta del titolo nasce dal mio amore per una lingua che non parlo, quella di Goethe e di Hölderlin. Kammermusik, Kammerspiel e Kammerspielfilm, ovvero Musica, Teatro e Cinema da camera, sono le tre fonti primarie della mia Poesia da camera o Kammerpoesie. Esiste pure una seconda ragione: Franz Kafka, uno scrittore che ha parlato di piccole cose ma di valore universale. Nel suo Primo Quaderno in ottavo racconta che il nostro udito ci dà conferma che ogni uomo porta dentro di sé una camera. Quando cammina in fretta e tende l’orecchio, specialmente di notte, circondato dal silenzio, può sentire il movimento di uno specchio a muro non fissato bene. Il mio libro liricizza quella dissonanza, l’essere fuori posto. La camera, non solo in senso metaforico, è il luogo interiore dove si svolge parte del mio racconto, diviso tra l’amore per due donne – immaginarie – in fuga dal mondo e la disperazione di un uomo che si perde nella nebbia, ma che ritrova l’equilibrio abbandonando la casa abitata da spettri femminili, con l’aiuto della figlia che guarda il mondo con occhi più reali".

Ma la poesia non è un genere oramai sorpassato nell’epoca del Tweet?

"Se seguiamo i social, direi proprio di sì. Ma tutta la comunicazione sta mutando forma. La poesia è intimità e conoscenza condivise in seno al silenzio e non in un’agorà. Non può ridursi a un like messo sotto quattro parole buttate lì da qualcuno che si dichiara, motu proprio, poeta o scrittore. Se sull’ultimo verso non c’è un lampo, un bagliore, abbiamo ucciso la poesia".

Cosa ci può ancora dare la poesia?

"L’immagine poetica può dare molto, soprattutto a chi ne è sprovvisto e la sta cercando. Metà dell’umanità ne sente il bisogno, così come ha urgenza di cogliere il mistero della vita. Chi scrive versi, però, non s’interroga solo su questo segreto. Quando è fortunato, riesce a parlare anche del nulla e dell’ossessione dello scrivere".

Perché c’è così poca attenzione per la poesia?

"Viviamo in una società governata dall’ignoranza e dall’approssimazione. Non c’è rigore. La poesia è rigore. La politica è lo specchio dei tempi: persone senza competenze e storia occupano sempre più spesso posti di comando e guida del Paese. Tutti possono fare tutto. Viene chiamata erroneamente democrazia, in realtà è distruzione culturale di massa. La poesia, più di altre discipline, paga il prezzo più alto".

Ma cosa può offrire la poesia in un momento tanto difficile come quello che stiamo vivendo?

"Edgar Morin ha scritto che ‘l’identità del nostro universo è la catastrofe’. Tutto è nato da una deflagrazione cosmica. Non dobbiamo mai dimenticare che nasciamo piangendo. A cicli di morte seguono cicli di vita e viceversa. Questa pandemia è peggio di una guerra ma è nuova, e va combattuta con armi nuove, armi che non uccidono, perché il nemico, un gigante che sta piegando tutto il mondo, è invisibile, e come in un film di fantascienza potrebbe anche ritirarsi. Ma in realtà, sono le armi del buon senso e le norme sanitarie che ci sono state date, che possono salvarci, non i congegni miracolosi. La poesia, se interpretata come forza interiore e volontà di lotta, può essere una di queste. La storia ci insegna che proprio in questi momenti bisogna resistere e trovare strade mai battute per uscire dall’incubo della fine. Poesia significa fare: non cura, tuttavia ci rende più cara la vita. Rivendico il suo primato per renderci migliori".
© Riproduzione riservata