Da sempre l'arte fatica a trovare una sua dimensione nella scuola e anche nella società italiana. In ambito scolastico viene considerata, infatti, materia minore oppure ridotta a pretesto per organizzare la classica gita di fine anno scolastico a Firenze o Roma. Al di fuori della scuola le cose non vanno meglio tra tagli a musei e soprintendenze e l’idea diffusa che con la cultura non si mangia, come sosteneva un ministro di qualche governo fa. È superfluo dire quanto questa disattenzione per il mondo dell’arte sia dannosa non solo per i più giovani ma per tutti noi. Il patrimonio artistico, infatti, è il nostro passato, rende più bello e vivibile il nostro presente e potrebbe aiutare noi italiani a costruirci un futuro migliore se solo fossimo più consci del valore di quello che ci circonda. Ad acquisire maggiore consapevolezza del tesoro di cui possiamo disporre ci aiuta un volume come Il racconto della pittura italiana (Hoepli, 2020, pp. 392). A scriverlo è stato lo storico dell'arte Stefano Zuffi che ha scelto un approccio narrativo e coinvolgente, un approccio da vero e proprio racconto come ci conferma: "Il libro nasce proprio con l'idea di puntare sulla narrazione. Sono, infatti, convinto che proprio il racconto possa essere il filo d’Arianna ideale per muoverci da un artista all’altro, da un periodo all’altro in maniera direi gradevole, anzi rilassata. Il mio libro è quindi un percorso narrativo che faccia apprezzare il piacere della pittura e che ci aiuti a conoscere non solo opere e artisti, ma anche il lato umano di quelli che sono stati spesso proposti come 'geni' inarrivabili, e sono invece persone reali, piene di gioie e preoccupazioni".

In Italia è difficile parlare di arte al grande pubblico?

"La parola chiave, purtroppo, è 'Italia'. Nel nostro Paese, infatti, sono state privilegiate l'analisi, la critica, la ricerca anche in ambito artistico. La divulgazione è stata per molto tempo considerata un modo secondario per raccontare l’arte. Non è così in altre nazioni, come, per esempio, la Gran Bretagna dove da tempo la vulgarisation non viene certo guardata con sospetto da specialisti e accademici. Ora le cose stanno cambiando anche in Italia grazie al lavoro di divulgazione che è stato fatto in ambito scientifico e archeologico da Piero e Alberto Angela. E anche nell’arte le cose stanno mutando e uno storico dell’arte come Philippe Daverio si è speso molto in questo senso".

La scuola ci può aiutare a fare conoscere e amare maggiormente l'arte?

"L'insegnamento scolastico potrebbe dare un grande aiuto, ma spesso i manuali di storia dell’arte rispecchiano esigenze didattiche e programmi ministeriali molto ingessati. Alla fine, i manuali si assomigliano tutti, riflettono una linea estremamente tradizionale e convenzionale e dovendo sintetizzare i fenomeni artistici più significativi fanno perdere completamente la percezione della diffusione dell’arte sul territorio nazionale. Pensiamo solo alla Sardegna: dopo i nuraghi sui manuali si rischia di non trovare più nulla. Così facendo si rende astratta una materia come l’arte che invece nel nostro Paese è tremendamente concreta perché in Italia l’arte è onnipresente".

Il suo libro racconta l'epoca che va da Giotto a Caravaggio. Come mai questa scelta?

"In origine dovevo coprire un periodo più ampio però poi mi sono reso conto che tre secoli abbondanti di arte, storia, società, avvenimenti, personaggi e opere erano abbastanza se non volevo fare un volume grande come un dizionario!".

Il resto a una prossima puntata?

"Spero proprio di sì anche perché l'arte italiana non si esaurisce certamente nei tre secoli che vanno da Giotto a Caravaggio, anche se si tratta probabilmente dell'apogeo della cultura artistica nel nostro Paese. Il racconto continua e vedremo di farlo continuare".

Perché l’arte è così importante?

"Perché l'arte può migliorare la vita, soprattutto se si ha il privilegio di vivere in una nazione come l'Italia".
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