Ascoltando la sua musica sembra sempre avere vent’anni. Eppure, sir Paul McCartney, il prossimo 18 giugno, sfonderà la barriera degli ottanta, tra l’altro ottimamente portati. Il volume “La grande storia di Paul McCartney” (Hoepli Editore, 2022, pp. 224, anche e-book), scritto a sei mani da Carmine Aymone, Michelangelo Iossa e Riccardo Russino, prova allora a raccontarci gli otto decenni di vita del grande musicista inglese. Lo fa soffermandosi naturalmente sugli anni dei Beatles, ma senza dimenticare che l’avventura beatlesiana di McCartney terminò quando sir Paul non aveva neppure trent’anni. “La Grande Storia di Paul McCartney” è, infatti, un ampio lavoro di ricerca, che parte dal 1940 - anno in cui i genitori di Paul si incontrano per la prima volta a Liverpool, sotto i bombardamenti tedeschi - e giunge al 2022, attraversando otto decenni di storia e sei decenni di carriera di Sir Paul.

McCartney viene osservato sotto il suo profilo uno e trino: la vita con i Beatles, il percorso con i Wings, il suo gruppo negli anni Settanta del Novecento, e la carriera solista. Dopo la fine dei Fab Four, infatti, McCartney ha continuato a pubblicare album ricchi di grandi canzoni e di capolavori da riscoprire, mantenendo vivo il desiderio di esplorare terreni musicali per lui inediti, proprio come accadeva nei giorni dei Beatles: dalla musica elettronica e ambient alla classica, da standard jazz a canzoni per bambini, dalla musica per balletto alla colonna sonora di un videogioco.

Un musicista fuori dal comune, come ci conferma Michelangelo Iossa, uno degli autori del volume:

“Sir Paul è probabilmente il musicista più influente dell'intero Novecento: non è un caso che lo storico francese Jacques Le Goff abbia inserito l'opera omnia dei Beatles tra i tredici documenti/monumenti del XX secolo, unico esempio musicale in tale contesto”.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Cosa rende McCartney tanto particolare?

“A tutt'oggi, McCartney non sa affatto leggere o scrivere musica in modo accademico e non saprebbe ‘riconoscere la partitura di Yesterday se l'avesse davanti’, come ama ricordare: la sua vorace curiosità musicale lo ha reso uno degli spiriti artistici più versatili, imprevedibili e talentuosi degli ultimi decenni, capace di creare ponti di dialogo tra il pop-rock e Luciano Berio, la trance music e le sinfonie, la poesia popolare e le musiche per balletto o per videogioco, solo per citare alcuni campi di esplorazione avviati da McCartney. Una 'massa' sonora, affermerei un 'paesaggio sonoro' - un 'soundscape' - unico nel suo genere”.

E nei Beatles quale funzione ha svolto?

“Come abbiamo scritto nella nostra prefazione al libro, l’alchimia tra Paul McCartney, John Lennon, George Harrison e Ringo Starr è stata così straordinaria che ancora affascina e stupisce gli ascoltatori di tutto il mondo. In questa formula McCartney ha avuto un ruolo determinante, molto più di quanto si sia solitamente portati a credere: il suo profilo da ‘uomo qualunque’ e la sua vita priva di scandali l’hanno allontanato dallo stereotipo del genio maledetto o da banalità simili. E così, per decenni, il suo apporto ai Beatles è stato considerato importante, ma, riteniamo, inferiore a quanto avrebbe meritato. Nel nostro libro, affermiamo senza remore che il contributo di McCartney alla musica dei Beatles è semplicemente incredibile, a prescindere da chi abbia scritto le loro canzoni. Era il motore che non si fermava mai: basterebbe ricordare che alcuni dischi sono stati registrati solo perché Paul telefonava senza sosta a John, George e Ringo per riportarli in sala di registrazione: Abbey Road, per esempio, è nato così.

Come è stato il McCartney post Beatles...perché va riscoperto?

“All'indomani dello scioglimento dei Fab Four, Paul non perde il suo talento, ma perde il suo sodalizio umano e artistico con John, George e Ringo: è vero che certe magie non si ripetono più, ma è altrettanto vero che quando si parla di McCartney c’è sempre spazio per tanta grande, grandissima musica, al punto che si fatica solo a farne un elenco in poco spazio. E poi, ogni tipo di musica: dal pop al rock, dalla disco music alle sonate per pianoforte, dalle colonne sonore agli standard jazz anni Trenta. E, soprattutto, ci sono canzoni che guardano dritte negli occhi i classici dei Beatles, tenendo loro testa: Live And Let Die, Maybe I’m Amazed, Band On The Run, Here To day, Somedays, solo per citare qualche titolo”.

Ma è stato "solo" un grande musicista?

“Direi proprio di no: è uno dei più vivaci operatori culturali del XX secolo, capace di modificare - dall'interno - l'idea stessa di musicista e compositore della contemporaneità e contribuendo fortemente ad ampliare le possibilità espressive del pop-rock internazionale, partendo da Liverpool, all'epoca periferia dell'Impero Britannico!

Nel nostro volume, abbiamo voluto dar spazio anche al McCartney abile 'player' del mondo dell'editoria musicale, aspetto spesso dimenticato: allo stato attuale, Paul è uno dei più grandi editori indipendenti al mondo e controlla un catalogo di oltre 25.000 titoli, tra canzoni e musical, interi repertori di standard del jazz e canzonieri di rock'n'roll invidiabili. Qualche esempio? Grease, Arrivederci Roma, Splendida Copenhagen, Story Weather, oltre ai grandi canzonieri di Buddy Holly o Carl Perkins e agli scrigni musicali dei Beatles, dei Wings e della sua personale carriera solista”.

Per finire...la canzone di McCartney a cui lei si sente più legato?

“La canzone che scelgo è, senza dubbio, Blackbird: quando ebbi in regalo il mio primo disco dei Beatles era il settembre del 1980, avevo sei anni e rimasi immediatamente folgorato da questa canzone, di pura firma McCartney. Da allora, questo brano ha assunto diverse forme - ascolto dopo ascolto - e oggi la 'mia' Blackbird del 2022 è diversa, più profonda, rispetto a quella della mia infanzia. Trovo nel verso ‘take these broken wings and learn to fly’ un invito a dar spazio ai diritti, alla vita civile, al talento e alla propria identità”.

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