"La casta dei casti": i preti, il sesso e l'affettività
Marco Marzano ci porta alla scoperta degli aspetti meno conosciuti della castità sacerdotaleLa castità dei membri del clero è una delle peculiarità che distinguono la Chiesa cattolica da ogni altra istituzione, religiosa o laica che sia. È uno degli elementi ancora oggi fondanti del cattolicesimo e viene difesa a spada tratta dalle gerarchie ecclesiastiche con solo poche eccezioni. Come mai è così importante difendere il voto di castità per la Chiesa? E soprattutto: in che modo l’istituzione ecclesiastica cerca di rispondere alla delicata questione dell’affettività degli appartenenti al clero? A queste e ad altre domande egualmente importanti per quanto riguarda la vita interna della Chiesa cattolica prova a rispondere Marco Marzano, docente di Sociologia all'Università di Bergamo, nel suo La casta dei casti (Bompiani, 2021, pp. 280, anche e-book). Frutto di anni di ricerche e di studi e di decine di interviste a sacerdoti ed ex sacerdoti, il saggio di Marzano ci offre uno spaccato sorprendente della vita intima dei preti, uomini formati fin dal seminario a nascondere la propria essenza più intima, le proprie emozioni e desideri invece che viverli in pienezza e libertà. Il tutto nel nome di quello che appare un totem intoccabile: la castità, appunto. Vale allora veramente la pena di porre proprio a Marco Marzano la domanda con cui abbiamo introdotto il suo libro: perché è così importante per la Chiesa difendere il voto di castità? "La mia risposta di sociologo è che la castità del clero risponde a due esigenze della Chiesa. La prima è di avere a disposizione dei funzionari totalmente dediti all’istituzione perché privi di legami di alcun tipo al di fuori dell’istituzione stessa. La Chiesa ha, infatti, bisogno di sacerdoti che abbiano la minor autonomia possibile al di fuori dell’ambito ecclesiastico. In secondo luogo, la castità a mio parere è il fondamento della sacralità dei sacerdoti e determina il rapporto esistente tra la Chiesa e i fedeli, un rapporto a cui le gerarchie ecclesiastiche non vogliono rinunciare".
Ci spieghi meglio…
"La castità è un fortissimo elemento di distinzione tra i sacerdoti e il resto degli esseri umani. Mentre la maggior parte delle persone soggiace ai desideri e alle emozioni, i preti invece vengono indicati come una élite che sa dominare le passioni e le emozioni. La castità, quindi, è funzionale al prestigio del clero, consente ai sacerdoti di stare su un piedistallo rispetto al resto dei fedeli".
Ma il piedistallo è reale o solo teorico?
"Il piedistallo è concreto solo fino a che la Chiesa può continuare a sostenere che la castità è seguita dalla maggior parte dei sacerdoti. In questo modo chi trasgredisce è una eccezione, è una mela marcia su cui si possono scaricare tutte le responsabilità preservando la bontà dell’istituzione e delle sue regole. Regole, che come racconto nel libro però non funzionano, così come alla prova dei fatti la castità è osservata solo da una esigua minoranza dei membri del clero".
A proposito di responsabilità istituzionali, lei punta il dito sul funzionamento dei seminari. In che modo funzionano oggi?
"Il seminario dovrebbe essere il luogo dove una persona, attraverso la formazione e l’educazione, si ‘trasforma’ in un sacerdote. Questa trasformazione, che riguarda la personalità, i gesti, gli atteggiamenti, avviene però in maniera dura, con la coercizione, isolando dal mondo il candidato e rinchiudendolo in una struttura costrittiva. Il seminario si presenta così come un luogo dove la libertà è minima e si persegue l’obiettivo di costruire un uomo nuovo, funzionale all’istituzione ecclesiastica. In questo processo il controllo della sessualità svolge un ruolo fondamentale".
In che modo?
“In seminario si insegna al candidato a celare i propri desideri e le proprie emozioni, anche il proprio orientamento sessuale. Il seminario diventa quindi il luogo dove l’aspirante sacerdote impara a comportarsi da prete, prima di tutto reprimendo e dissimulando le proprie emozioni. Non certo a caso è più facile essere espulsi dal seminario se ci si dimostra emotivi e affettivi piuttosto che se si hanno problemi con gli studi. Poi dalle interviste fatte nel mio libro emerge chiaramente quanto il sesso sia presente nei seminari e come la preoccupazione maggiore delle autorità ecclesiastiche sia quella che il giovane prete impari a nascondere quello che fa tra le lenzuola. Il divieto di praticare sesso alla fine è solo apparenza, mentre quello di parlarne è estremamente concreto.”
Qual è il risultato di una "educazione" di questo tipo?
“Il risultato sono sacerdoti anaffettivi, portati a simulare e mentire. Queste attitudini dominano nella maggior parte dei casi le relazioni tra i membri del clero e le persone, come dimostrano anche i racconti di donne che hanno avuto dei legami sentimentali con sacerdoti. Il seminario non favorisce certo la maturazione umana, affettiva e morale mentre confina i giovani aspiranti sacerdoti in una bolla, che scoppia una volta ordinati preti quando ci si ritrova improvvisamente soli, quasi abbandonati dall’istituzione ecclesiastica. Questo spiega l’alto numero di abbandoni del sacerdozio nei primi anni dopo l’ordinazione e l’insorgere di dipendenze: dal gioco, dall’alcol, dal sesso.”
L’altro grande tema che lei affronta nel libro è quello della diffusione dell’omosessualità nel clero cattolico. Ma come è possibile essere omosessuali all’interno di una istituzione come la Chiesa che da sempre si mostra molto conservatrice sul tema dell’identità di genere?
“La Chiesa contrasta il riconoscimento della normalità dell’omosessualità, non l’omosessualità di per sé stessa. Contrasta l’idea che gli omosessuali possano sposarsi oppure avere una famiglia. All’interno dell’istituzione ecclesiastica però la presenza omosessuale è preponderante. Anzi la Chiesa è il luogo ideale per quegli uomini che non hanno nessuna intenzione di rivelare la loro omosessualità, uomini che si ritrovano in un ambiente tutto maschile, omofilo più di ogni altro, in cui trovare amanti, compagni e partner con molta facilità. Naturalmente si tratta di persone che non vivono bene la loro sessualità e che all’interno della Chiesa non trovano nessuna possibilità per risolvere i loro dissidi interiori. Detto questo, nonostante i ripetuti appelli per impedire l’accesso degli omosessuali nei seminari, alla fine si tratta di un divieto impossibile da far rispettare, a meno di non rischiare di ritrovarsi praticamente senza preti. Per questo mi sento di dire che la posizione nei riguardi dell’omosessualità è la più grande ipocrisia che ruota attorno al tema della castità e della sessualità all’interno della Chiesa.”