In questi mesi in cui molti di noi si sono ritrovati forzatamente chiusi in casa una delle grandi sfide è stata gestire le relazioni in famiglia, trovare un equilibrio negli spazi fin troppo stretti delle mura domestiche. Oppure gestire l'ansia per la malattia e le preoccupazioni sul fronte lavorativo. Spesso abbiamo dovuto fare i conti con le nostre emozioni, con le nostre frustrazioni e i nostri timori e investire energie perché le nostre reazioni non degenerassero e creassero conflitti. Insomma, abbiamo dovuto mettere in gioco tutte le nostre risorse per gestire con intelligenza una situazione non facile. E, magari senza saperlo, abbiamo fatto ricorso a quella che viene chiamata "intelligenza emotiva". Ma di cosa si tratta esattamente? Lo chiediamo a Lorenzo Fariselli, direttore della sezione italiana di Six Seconds, la più grande community non-profit a livello globale impegnata nello sviluppo, nella ricerca e nella formazione nel campo dell'intelligenza emotiva:

"Parlare di intelligenza emotiva e accostare quindi razionalità ed emozioni può apparire contraddittorio perché siamo abituati ad associare l’intelligenza con qualcosa di logico-razionale mentre le emozioni vengono considerate come qualcosa di irrazionale e sfuggente. L’Intelligenza Emotiva è invece la capacità di essere intelligente con le emozioni, cioè permettere al nostro cervello di fare quello che gli riesce meglio, cioè unire la parte emotivo-relazionale con quella logico-razionale. Insomma, bisogna riuscire a mettere assieme il pensiero e le emozioni e considerarle sullo stesso piano".

Perché è complicato mettere sullo stesso piano pensiero ed emozioni?

"Non è complicato. Semplicemente siamo abituati a dare diverso valore alla razionalità e all’emotività. Mi spiego: se voglio fare un complimento a una persona posso benissimo dirle che è molto razionale. La persona in questione, nella maggior parte dei casi, sarà contenta della mia affermazione. Se però le dico che è molto emotiva la sua reazione sarà molto meno soddisfatta. Questo perché, da un punto di vista culturale, l'emozione viene spesso vissuta come qualcosa di sbagliato, da controllare. L'intelligenza emotiva ci dice, invece, che in ogni ambito della vita bisogna tenere conto sia dell'aspetto logico-razionale, sia di quello emotivo-relazionale".

Ma l'intelligenza emotiva si può allenare e si può mettere in pratica?

"L'intelligenza emotiva è qualcosa di tremendamente pratico e alle persone che sono interessate ad approfondire questo aspetto del proprio modo di essere io dico che non basta essere interessati: bisogna allenare l'intelligenza emotiva".

E come la si allena?

"Il modello di intelligenza emotiva di Six Seconds si basa su tre macroaree: cioè l'area della consapevolezza, l'area della gestione e l'area della direzione. Un tipo di allenamento di base, ma molto efficace, è provare, di fronte a una sfida, a una difficoltà, grande o piccola, a porsi tre domande. La prima è 'che cosa sto provando?', così da aumentare quella che è la mia consapevolezza. Quindi devo chiedermi 'quali opportunità ho?', e questo ha a che fare con il tema della gestione della sfida, dell'approccio ottimistico, del sapere guardare alla situazione da più punti di vista. Infine, la terza domanda da porsi è 'che cosa è importante fare?', perché una volta che una persona ha analizzato la situazione da più punti di vista, diventa importante mettere sul piatto i propri valori, capire qual è quello che noi chiamiamo l'obiettivo eccellente".

Come possiamo definire l'obiettivo eccellente?

"È quella cosa che ci fa scegliere lo stile di comportamento e la strada più in linea con quello che vogliamo essere e più in linea con quello che vogliamo diventare".

Non è però così semplice capire cosa si vuole oppure cosa si sta provando in un determinato momento, soprattutto se si è in difficoltà…

"Certo, ci vuole allenamento per riconoscere le emozioni, per riconoscere i nostri schemi comportamentali. Però è già importante comprendere come le emozioni e i comportamenti possano essere riconosciuti e questa conoscenza ci può portare ad agire in maniera diversa rispetto a una semplice logica reattiva, in cui mettiamo il pilota automatico e partiamo. Davanti a noi abbiamo in realtà molte opzioni se agiamo con l'Intelligenza Emotiva".

In questi mesi le emozioni di noi italiani sono state messe a dura prova e non è sempre stato facile gestire le proprie reazioni, soprattutto nei confronti di chi ci sta vicino. Cosa possiamo fare per mettere in gioco l'intelligenza emotiva, anche nella vita quotidiana, per esempio in famiglia?

"Per incominciare possiamo fare due cose molto semplici. La prima è rendersi conto che non siamo responsabili delle emozioni degli altri, ma delle nostre. L'intelligenza emotiva ci spinge, infatti, a essere responsabili delle nostre emozioni, non di quelle altrui. Quindi se si deve cambiare una situazione, una relazione, bisogna partire da noi stessi. E questo ci deve portare ad abbandonare qualsiasi logica manipolatoria per cui agisco in un certo modo per modificare l'atteggiamento dell'altro. Devo invece migliorare me stesso in modo che anche le relazioni attorno a me migliorino, siano più solide e importanti. E per fare questo – arrivo così alla seconda cosa da mettere in pratica – bisogna considerare le emozioni per quello che sono: informazioni neutre, né buone, né cattive. Fin da bambini, invece, siamo abituati a pensare come alcune emozioni siano da evitare, sbagliate. Non bisogna avere paura perché altrimenti si fa la figura dei deboli e così via… Viceversa consideriamo l'emozione come una mera informazione e andiamo ad esplorare perché abbiamo paura, che cosa ci dice questa paura. È un allenamento che noi chiamiamo VET".

Che significa…

"Significa 'valutazione, esplorazione e trasformazione'. Pensiamo alle limitazioni a cui siamo stati sottoposti negli ultimi mesi e a quelle a cui siamo ancora sottoposti. Queste limitazioni ci fanno paura. Ebbene possiamo cominciare a chiederci da cosa nasce questa paura. Nasce non solo dal timore della malattia, ma anche dalla perdita di quelle libertà a cui siamo stati sempre abituati. Questa perdita di libertà ci spaventa, però già valutare questa paura, già esplorarla ci può aiutare a capire come esistono altre forme di libertà di cui possiamo godere: la libertà di passare più tempo con i nostri cari, la libertà di gestire i nostri ritmi a piacimento… Questo ci restituisce ottimismo, fiducia, sicurezza. Ci consente di mettere in atto un processo di trasformazione in cui non è più la paura a farla da padrona, mentre ci vengono in aiuto nuove emozioni che ci fanno vedere la situazione in maniera più organica, completa, rassicurante. Di fronte a un'emozione chiediamoci sempre cosa realmente stiamo provando e cosa ci dice quell'emozione".
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