La serie di interviste "Diamo l'assalto al cielo": ricordi del Sessantotto in Sardegna, si conclude con la testimonianza di Claudia Zuncheddu, originaria di Burcei, medico specializzato in Malattie Tropicali, giornalista, pilota di rally - la prima ad aver preso parte a corse automobilistiche nei deserti e a entrare nelle selezioni del Camel Trophy - , appassionata di antropologia, attiva in numerose campagne umanitarie e scientifiche in Paesi africani, nonché protagonista della politica locale sarda come segretario del movimento indipendentista Sardigna Libera.

Nel '68 aveva solo 16 anni, ma è dal quel clima di fermento che Claudia Zuncheddu ha ereditato la passione politica e l'impegno per i diritti civili e politici che la accompagna ancora oggi.

Da dove è partita l'onda del '68?

"Gli eventi naturali non nascono mai dove si manifestano ma arrivano da lontano. Anche il '68 ha origini lontane, nasce dai fenomeni sociali e politici post seconda guerra mondiale e dalla successiva divisione del mondo in blocchi. Ma i fenomeni culturali, sociali, economici e politici superano anche i blocchi, se così non fosse non si capirebbero quei fenomeni simili che si sono verificati a Est come a Ovest della 'Cortina di ferro'. In Italia, la ricostruzione post bellica con il boom economico, l'affermarsi della piccola-media borghesia e l'affacciarsi della società dei consumi sono stati alla base della rottura fra giovani e vecchi. È chiaro che nella 'pentola' delle trasformazioni degli anni '50 e '60 tutti questi ingredienti, ancor più in Occidente, erano destinati ad aumentare l'entropia del sistema fino a farlo esplodere. La controcultura americana, anch'essa frutto e motore della 'pentola a pressione', con scrittori, poeti e musicisti come Jack Kerouac, Elvis Presley, Miles Davis, Jim Morrison, generi come il beat, blues, rock and roll, rock, jazz, ha fatto da apripista nella cultura mondiale alternativa e di contestazione al sistema. Era l'epoca dei Beatles e dei Rolling Stones e in Italia di Guccini, I Nomadi, De Andrè e i cosiddetti capelloni con un'esplosione di chitarre e nuovi gruppi musicali. E i giovani nelle città erano, anche nell'abbigliamento, portatori di nuovi colori".

Un'effervescenza contagiosa, almeno per i giovani di allora.

"Era stimolante per i fermenti rivoluzionari degli ambienti più vicini a noi, quelli dei movimenti studenteschi, culturali, artistici e musicali. Intanto la Sardegna sognava la Rinascita con le false promesse del petrolchimico e la creazione dei poli industriali che avrebbero seppellito la nostra cultura originale, destinata a riemergere qualche decennio più tardi come un fiume carsico. Quel cosiddetto modello di sviluppo per noi non fu né innovazione né progresso, piuttosto un infausto miraggio.

Erano gli anni del grande Movimento Studentesco dotato di un giornale proprio palesemente ispirato dalla Statale di Milano, con l'inno di Lotta Continua 'Siamo studenti, pastori sardi, divisi fino a ieri...'.

A Cagliari dopo le prime occupazioni a Lettere e Ingegneria i gruppi più politicizzati della sinistra studentesca diedero origine al CAP (Comitato di Agitazione e Propaganda del Movimento Studentesco) e la mitica Aula 7 della facoltà di Lettere diventò un centro di ritrovo della contestazione per tutti gli studenti che chiedevano di aver voce all'interno del sistema scolastico. Intanto arrivavano le prime sospensioni dalla scuola e i primi interventi repressivi della polizia".

Durante una manifestazione nei primi anni '70
Durante una manifestazione nei primi anni '70
Durante una manifestazione nei primi anni '70

Ripensando a quel periodo con la distanza del tempo e il senso critico della maturità, quali furono i limiti e gli aspetti più nobili?

"Era in corso una grande rivoluzione culturale e di costume e come tutti i processi complessi della storia vantava lati nobili e non. Oggi guardo a quei tempi con tenerezza, eravamo idealisti puri guidati da un grande sogno di libertà individuale-collettiva e di giustizia sociale. Volevamo cambiare tutto. Studiavamo molto anche per contestare in modo più efficace la cultura ufficiale, però si crearono delle gerarchie leaderistiche che limitarono la maggiore espressione e l'espansione del movimento. Di quei tempi e della cultura familiare ho conservato il rigore morale e l'impostare tutte le scelte della mia vita sul principio della libertà. Della mia generazione c'è chi è rientrato nei ranghi, chi ha scelto di restare ai margini, chi si è perso tragicamente, chi ha continuato ad elaborare un progetto politico e a inseguire un sogno".

E la reazione delle altre generazioni, in particolare le vostre famiglie?

"Erano sotto choc per le preoccupazioni. Mio padre era un sardista rivoluzionario e per me era tanto autorevole quanto autoritario. Lo affascinava ciò che stava avvenendo ma avrebbe preferito che fossi maschio. Da mia madre mi separavano solo 20 anni, cercava di capirmi e non sempre ci riusciva, mi vedeva uscire in jeans, camicie militari e scarponi, con i miei capelli lunghissimi e quando indossavo un cappottone sapeva che sotto si nascondeva una minigonna esagerata e che un giubbotto segreto di strano colore mi sarebbe servito per andare in moto con il mio ragazzo (mio attuale marito) per non essere scoperta da mio padre. Sapeva anche che il mio motto era 'negare tutto anche davanti all'evidenza'. Solo mia nonna Emilia si pronunciò in termini chiari, dicendomi: 'Sono una donna d'altri tempi e non capisco se tu abbia ragione o torto, quindi non ho niente da dire'".

Una sorridente Caludia Zuncheddu negli anni '70
Una sorridente Caludia Zuncheddu negli anni '70
Una sorridente Caludia Zuncheddu negli anni '70

Dagli atenei alla Barbagia, con le rivolte di Orgosolo e Pratobello: c'è un legame?

"Diverse facoltà universitarie erano centri di dibattito culturale e politico, ma il dibattito politico e l'analisi sulla condizione della Sardegna era minoritaria, anche se le lotte degli studenti per una migliore condizione di studio e di vita erano molto forti.

La rivolta di Pratobello è stata un moto di ribellione popolare nata dal diritto acquisito delle collettività all'uso delle terre civiche ed è un fatto storico da cui abbiamo imparato che le lotte si vincono se il popolo è unito e determinato. A difendere le terre dall'occupazione militare dello Stato per la creazione di un poligono si mobilitò tutta la collettività orgolese: anziani, bambini, uomini e donne di tutte le età in prima fila dissero no, mentre gruppi di studenti e intellettuali cercarono di unire quella lotta a quella dell'Università, ma con scarsi risultati. Il popolo barbaricino vinse ma non ci fu nessuna contaminazione, né unione con il resto delle lotte in corso nelle Università, anche perché i partiti politici controllarono e frenarono quel fenomeno con la paura che potesse 'incendiare' il diffuso malcontento nell'Isola".

E le istanze femministe che terreno trovavano nella Sardegna di fine anni '60?

"Il Sessantotto fece da apripista alle lotte femministe, lotte a cui la società di oggi deve moltissimo sul fronte dei diritti e soprattutto sulla parità di genere, anche se il cammino resta ancora lungo e ostacolato. Le donne di allora presero coscienza della propria condizione, iniziarono a intervenire nelle assemblee e a essere parte attiva del movimento di contestazione, quelle più politicizzate da 'angeli del ciclostile' iniziarono a organizzarsi sul fronte culturale e dei diritti civili. Io capii presto che senza autonomia economica non ci sarebbe stata indipendenza ed emancipazione per le donne: bisognava anzitutto rompere la dipendenza dalle famiglie e dai partner".

Quelle battaglie portarono a risultati come il divorzio e l'aborto: oggi le diamo per scontate?

"La Legge 194 del 78 è il frutto delle lotte delle donne e di quegli anni. Fu una grande conquista per il diritto individuale delle donne all'autodeterminazione, ma oggi c'è il rischio che ci si adagi sulle conquiste acquisite senza intravedere i segni di una restaurazione. La lotta in corso oggi per la difesa della Sanità pubblica significa anche tutelare i reparti di ostetricia e ginecologia a rischio di chiusura in diversi ospedali della Sardegna, eliminando così il diritto alla prevenzione e al controllo della maternità".

Un ritratto di Claudia Zuncheddu
Un ritratto di Claudia Zuncheddu
Un ritratto di Claudia Zuncheddu

E le giovani di oggi hanno consapevolezza del cammino fatto per l'emancipazione?

"Ereditare l'emancipazione significa anche vigilare sui diritti acquisiti e conservare la coscienza. Ma nuovi problemi fanno sì che le priorità per i nostri giovani siano altre. Quando l'unica certezza è che la tua terra può solo garantirti un certificato di nascita, i diritti si cercano laddove si garantisce il futuro, laddove l'emancipazione è fatta di garanzie reali e non virtuali, ed ecco che per i nostri giovani non resta che la dolorosa emigrazione forzata".

Nella sua vita professionale e personale successiva cosa si è portata di quella stagione?

"La coerenza con la mia storia, l'importanza dello studio su tutti i fronti, la solidarietà verso i più fragili, il valore della libertà, la determinazione in tutte le scelte personali, professionali e politiche, e il rispetto della nostra storia, dei diritti collettivi dei sardi da cui dipende anche il benessere individuale. Le mie esperienze personali nel mondo, le relazioni con altri popoli e l'idea che l'indipendentismo sardo sia necessariamente internazionalista hanno radici nella mia prima giovinezza. Da quelle esperienze giovanili ho ereditato lo sguardo sul mondo, la consapevolezza che la Sardegna va interpretata in un'ampia cornice internazionale con la sua identità e individualità".

Barbara Miccolupi

(Unioneonline)

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