I Vetuschi, il popolo grezzo guidato da re Vuttonio
Le avventure tragicomiche di un popolo per niente saggio… ma che un po’ ci somiglia
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Esiste, almeno nell’universo della fantasia, un popolo che vive su una cima brulla e inospitale. Sono conosciuti come i Vetuschi e sono talmente stupidi da essere i primi a sorprendersi di non essersi ancora estinti. Sono un popolo grezzo, brutale, senza tanto buon senso, che ha come maggiore divertimento randellare gli amati/odiati vicini, gli Gnuminidi, gente colta e raffinata, ma un po’ priva di nerbo. A guidare i Vetuschi è un re, Vuttonio, che, come tutto il suo popolo, non riesce a mettere in fila due concetti senza dimenticarsi del primo e lo stesso si può dire del suo più fido consigliere, il pappagallo Giulebbe. A salvare questi scriteriati c’è giusto Klaretta, una gallina alta quattro metri che è l’oracolo saggio dell’intera popolazione, e Yucchi, l’unico Vetusco dotato di neuroni funzionanti, neuroni che poco possono fare immersi in universo di grande stupidità… e di grande comicità.
Poche righe per introdurre un volumetto per bambini e ragazzi dai 9 ai 90 anni e più, un volumetto in cui la stupidità e la mancanza di buon senso diventano un pretesto per giocare con il nonsense, l’avventura e il ribaltamento delle convenzioni e delle situazioni. Parliamo del “Libro dei Vetuschi” (Il Castoro editore, 2021, Euro 13,50, pp. 200) scritto da Mario Mucciarelli e illustrato da Stefano Tartarotti. Un libro che già dalle prima pagine fa sorgere una domanda: ma da dove sbuca un popolo così assurdo come i Vetuschi? Giriamo la domanda a Mario Mucciarelli: “Il popolo e le avventure dei Vetuschi nascono qualche anno fa, quando mio figlio era piccolo e avevo l’abitudine di raccontargli delle storie per farlo addormentare. Tra queste vi erano le avventure di un popolo immaginario, i Vetuschi appunto. Mio figlio si divertiva molto ad ascoltarle perché i Vetuschi erano veramente stupidi, non sapevano combinare nulla di sensato. Sembrava cercassero solo il modo per estinguersi, per distruggere l’ambiente intorno a loro. Col tempo mi sono reso conto che avevo tante storie con protagonisti i Vetuschi e le ho raccolte in un libro”.
Leggendo il libro si avverte come lei si diverta a raccontare il mondo assurdo dei Vetuschi… da dove nasce questo divertimento?
“Scrivere di un popolo così stupido, in un certo senso è stato liberatorio, perché i Vetuschi sembrano quasi una allegoria di noi italiani. Fanno casino, combinano disastri a ripetizione, sembrano sempre sul punto di essere spazzati via però poi si salvano sempre, in extremis. E si salvano non si sa se per pura fortuna o perché subentra un minimo di ragionevolezza. Immaginare storie con protagonista un popolo che non è malvagio né in cattiva fede, ma è proprio incapace di fare meglio mi ha divertito e spero divertirà i lettori”.
Come è nato l’incontro tra il suo testo e le divertenti illustrazioni di Tartarotti?
“In realtà io non avevo pensato a inserire delle illustrazioni nel libro. È stata una proposta della casa editrice che però ben presto mi ha molto coinvolto. Non era facile: ci voleva l’illustratore con la mano giusta, il tocco umoristico, uno spirito capace di tradurre su carta l’assurdo e le iperboli presenti nelle mie storie. Stefano Tartarotti aveva queste qualità e ha fatto un gran lavoro e in totale autonomia, nel senso che io ho voluto che tra testo e illustrazioni nascesse un dialogo, non che le illustrazioni fossero imposte, guidate dal testo”.
Ma che ne sarà dei Vetuschi ora che ha cominciato a raccontare le loro storie?
“Il libro racconta una vicenda autoconclusiva, però di avventure su questo popolo ce ne sono ancora molte e i guai da combinare sono ancora di più… almeno nella mia testa”.