La Shoah è stata come un grande incendio. Ha spazzato l'Europa in maniera implacabile e si è portata via nel giro di pochissimo tempo un milione e mezzo di bambini. I piccoli, anzi, sono spesso stati tra le prime vittime dello sterminio perché non potevano essere utili ai nazisti neppure come schiavi nei lager. In pochi sono scampati a quell'epoca di follia e ancora meno sono stati quelli che hanno avuto la forza di raccontare la loro tragica esperienza.

Il volume I bambini raccontano la Shoah (Sonda, 2020, pp. 144) ci offre quindi la possibilità di ascoltare alcune di queste storie direttamente dalla voce dei protagonisti.

Incontriamo così le esperienze autobiografiche di Lia Levi e Uri Orlev che ci trasportano tra speranze e paure dei bambini vittime della persecuzione razziale. Poi il racconto di Ela e Marian Kaminski, ebrei polacchi che dopo aver vissuto la guerra hanno saputo ricostruire una nuova vita. La loro figlia, Sarah Kaminski, docente di Ebraico moderno all’Università di Torino e autrice del libro assieme a Maria Teresa Milano, ci consegna invece la favola amara del ghetto di Lodz, tristemente celebre per il lavoro minorile mentre ci vengono anche aperte le porte della fortezza di Terezín, il ghetto in cui diverse persone hanno rischiato la propria vita per proteggere i più piccoli dalla follia nazista. Pagina dopo pagina si rivelano così sotto i nostri occhi racconti e testimonianze emozionanti e coinvolgenti, scritti con la volontà di coltivare e trasmettere la memoria soprattutto ai bambini e ai ragazzi di oggi.

Ma come può essere raccontata la Shoah a giovani e giovanissimi del nostro tempo in modo che quel tragico evento venga compreso e sia d'insegnamento per il presente e il futuro? Lo chiediamo a una delle due autrici del libro, Maria Teresa Milano:

"Raccontare la Shoah ai bambini e ai ragazzi è un compito delicato e comporta una grande responsabilità, soprattutto perché negli ultimi anni siamo stati letteralmente sommersi da saggi, narrativa, film, eventi e materiale in rete che non sempre hanno reso un buon servizio. Basti pensare ai tanti blog, forum e pagine Facebook che toccano l’argomento senza averne competenza, in particolare quelli che si rivolgono alle mamme e che oltre a dare consigli su scuola e salute, offrono materiali scaricabili per avvicinare i figli al tema della Shoah".

Non si tratta comunque di un modo per raccontare una tragedia che altrimenti rischierebbe di essere dimenticata?

"Il problema è che non compaiono indicazioni sull'età dei bambini a cui sono diretti i materiali, non c’è bibliografia, non ci sono riferimenti scientifici, ma estratti dai testi di Primo Levi, dai documentari di Claude Lanzmann e da altre fonti assolutamente inadatte per i più piccoli. Destano forti perplessità quegli adulti che parlano ai bambini di camere a gas e Lager, dopo che uno dei maggiori esperti in questo ambito, George Bensoussan, direttore del Memorial de la Shoah di Parigi ha espressamente chiesto di non farlo, dopo che i ricercatori e i pedagoghi di Yad Vashem, l'Ente nazionale per la Memoria della Shoah di Israele, hanno scritto fiumi di parole e creato percorsi alternativi alla 'didattica dell’orrore'. Quando ci si concentra solo sull’orrore si rischia di spostare il problema e di sovrapporre pericolosamente fiction e realtà, di vedere solo fili spinati e mucchi di cadaveri.

Questo non significa che non serva studiare la storia, anzi, è solo la conoscenza a darci gli strumenti per formare una coscienza, ma abbiamo molto da imparare, aldilà dei numeri e delle date".

Come fare allora?

"Possiamo parlare ai bambini partendo da quello che la Shoah ci insegna, cominciando dal concetto di 'indifferenza', che tocca la vita di ognuno di noi, tanto nelle piccole questioni quanto in relazione ai cosiddetti grandi temi. Il Premio Nobel Elie Wiesel, sopravvissuto ad Auschwitz, nel 1999 pronunciò un discorso alla Casa Bianca in cui diceva: 'Sono molte le atrocità nel mondo e moltissimi i pericoli, ma di una cosa sono certo: il male peggiore è l’indifferenza'. E poi possiamo raccontare le storie dei bambini, quelle in cui si sente cosa significa essere strappati alla propria famiglia, agli amici, e alla scuola, quelle in cui si parla di fame e di paura, ma anche di forte desiderio di continuare a vivere e a giocare, che è in ogni epoca la grande risorsa di ogni bambino".

Cosa fu la Shoah per i bambini che vissero gli anni drammatici del nazismo?

"La Shoah ha cancellato la vita di milioni di persone, ha distrutto le famiglie, ha lasciato genitori senza figli e ragazzi orfani. I regimi fascista e nazista hanno portato paura, violenza e profondo dolore nella vita di ogni bambino perseguitato. Ma in quella storia è racchiuso un insegnamento vitale".

Quale?

"Nei ghetti, nei campi, ci sono stati adulti coraggiosi che hanno cercato di insegnare ai ragazzi il senso della vita, dando loro colori per disegnare, storie di libertà e di speranza e canzoni con cui esprimersi e tenendoli per mano nelle marce verso le camere a gas. Questo bene non bilancia il male, ma diventa un modello a cui guardare: anche nelle situazioni estreme, ciascuno di noi è chiamato a divenire 'tutore di resilienza' per salvaguardare la dignità umana".

Cosa l'ha colpita maggiormente nelle storie che costituiscono il libro?

"Da sempre sono colpita dalla forza e dal coraggio e vorrei qui ricordare in particolare due delle storie che compaiono nel libro.

Una è quella di Ela e Marian, bambini ebrei in Polonia; Ela aveva solo quattro anni quando la mamma la prese per mano e fuggirono a piedi in Russia, mentre Marian ne aveva dodici quando alla liberazione di Buchenwald, in cambio di un po’ di cioccolato, si offrì per fare da guida agli americani nel campo, alla ricerca dei mucchi di corpi. Oggi vivono in Israele dove si sono costruiti una vita e una bellissima famiglia e, guardando le figlie e nipoti, possono davvero dire che questa è la loro risposta ai nazisti.

L'altra storia ha per protagonista Cesare Alvazzi Del Frate, che a diciassette anni si aggregò ai partigiani e che ancora oggi, a novantadue, ha voglia di incontrare i giovani, per raccontare cosa significa riconoscere il male e combatterlo e per dire: 'Adesso tocca a voi'".
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