Francesco Mulas, responsabile dell’Ufficio Scuola del Consolato Generale di Johannesburg, continua a pensare alla vicenda di Giovanni Maria Angioy. L’ interesse per l’Alter nos non si è mai spento. C’è un risveglio degli studi sugli slanci che hanno animato la sua azione in Sardegna e a Parigi dove l’eroe della Sarda Rivoluzione (“un ampio movimento autenticamente rivoluzionario perché metteva radicalmente in discussione i capisaldi del sistema vigente nelle campagne”, secondo lo storico Federico Francioni) ha trascorso un periodo di doloroso esilio.

Come  nasce il suo interesse per Angioy?

«Scrivendo il libro sulla storia nobiliare della mia famiglia, mi sono imbattuto in Don Felice Mulas Rubatta, avventuroso compagno di lotte di Angioy. Come lui, molti altri miei lontani parenti pagarono a caro prezzo questa fedeltà e unità intellettuale e di azione. Don Felice in particolare aiutò Angioy a fuggire dall’esilio di Casale Monferrato. Da qui ho ripercorso il filo che ha portato Angioy prima nell’Italia continentale, poi Marsiglia, Lione e, infine, Parigi».

Sulle dimore parigine di Angioy lei ha scritto un saggio pubblicato nel 2023 nella rivista  “Quaderni bolotanesi”.

«Angioy ebbe diverse dimore nella sua vita parigina. Rue Froidmanteau al civico 3, sulla riva destra della Senna, fu l’ultimo domicilio dove, ospite di Madame Dupont, dettò le ultime volontà e spirò, il 23 febbraio 1808. Via e numero civico sono riportati in diversi documenti, compresa la fattura dei costi funerari conservata presso la Parrocchia di Saint-Germain L’Auxerrois, luogo delle esequie. Il problema era inviduare l’esatta posizione dell’appartamento, che fu in seguito demolito con l’intera via. Negli sconfinati Archives de Paris ho trovato le mappe catastali del quartiere, aggiornate al nuovo sistema di numerazione dei civici del 1805. Operando quindi una sovrapposizione digitale della mappa catastale con una carta di Parigi rilevata a fine ‘700 e una foto satellitare, ho individuato l’esatto punto dove morì, ricadente oggi nell’ala Richelieu del Louvre e dove sarebbe interessante porre una lapide».

Resta da individuare il luogo di sepoltura?

«Dopo il rito funebre, al quale parteciparono personaggi politici e senatori, partì un convoglio, guidato da un carro funebre trainato da cavalli per destinazione non nota. Sappiamo però che i regolamenti cimiteriali dell’epoca erano molto rigidi. Chi moriva nel 1808 nella via di Angioy, appartenente per i civici dispari al primo arrondissement di allora, veniva inumato nell’antico cimitero du Champ-du-Repos, già colmo e in via di chiusura. Oggi quel luogo non esiste più, perché obliterato e ricompreso dal Cimitero di Montmartre. Alcune lapidi però sembra vennero spostate nel nuovo cimitero. Da qui secondo me deve ripartire la ricerca».

Gli archivi parigini continuano a offrire indicazioni importanti. Che cosa occorre fare per dare ulteriore slancio alle ricerche sull'esilio di Angioy e fare luce sugli aspetti ancora da chiarire?

«Come prima accennavo, nei vari archivi di Parigi e dintorni v’è una quantità enorme di dati e metadati. Si tratta di individuare documenti, interpretarli e di seguire una tecnica simile a quella di un detective, tramite ipotesi e conferme. Penso ad un rilancio basato sull’attribuzione di tesi di studio a studenti e giovani ricercatori, con uno sforzo coordinato».

Quanto può essere d'aiuto la tecnologia?

«Le tecnologie dell’informazione sono fondamentali, soprattutto a fronte di un crescente patrimonio di digitalizzazione, sempre più connesso alla Rete. Questi strumenti affiancano il ricercatore, il cui lavoro critico rimane comunque insostituibile».

Come coordinare le sue ricerche con quelle che altri studiosi stanno svolgendo?

«Non sono pochi quelli che si sono cimentati nella ricerca delle tracce parigine di Angioy. La mia formazione è di tipo scientifico ed è questo il metodo che seguo. Credo che il coordinamento debba riferirsi ad una prospettiva di open science, tramite condivisione di dati e citazione di fonti. Occorre costruire un solido database di informazioni sull’Alternos, pescando informazioni in un oceano di dati».

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In questo momento due ricercatori, che non appartengono al mondo accademico, Francesco Mulas e Adriana Valenti, studiosa e scrittrice, a cui dobbiamo  altre informazioni  molto preziose sugli anni dell’esilio di Angioy a Parigi, contribuiscono a fare luce su una figura centrale della storia sarda. Confermano, con i dati che stanno acquisendo, che i rivoluzionari sardi sono perfettamente inseriti e connessi con la storia europea della fine del Settecento. “La Sardegna anticipa il triennio rivoluzionario italiano. I moti antifeudali sconvolgono vecchi equilibri di potere”, ha detto il giornalista Vindice Lecis, autore del libro “L’Alternos. Il romanzo della sarda rivoluzione”.

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